giovedì 29 maggio 2025

RICHARD NEUTRA: Progettare per sopravvivere, Introduzione di Sarah Robinson


RICHARD NEUTRA:  Progettare per sopravvivere

Introduzione al libro, di Sarah Robinson



Fra noi aumentano sempre coloro i quali sono convinti che si possano trovare e si debbano applicare sistemi di riferimento e unità di misura per giudicare la progettistica in questo senso. Negarlo sarebbe nichilismo bello e buono1. Richard Neutra

La pioggia estrae linfa dalle foglie di creosoto, che rilasciano il loro odore asprigno nell’aria. La pioggia lava con forza la terra, affonda nelle radici radiali del saguaro, ingrossando le ondulazioni a crinoline della sua pelle. La pioggia vivifica il paesaggio: trasforma gli aghi del cactus in peli che si drizzano, antenne sintonizzate per intercettare l’acqua. Le gocce di pioggia tambureggiano sul mio tetto di metallo. Da sotto, veli di tela disegnano la linea che sottilmente divide l’interno dall’esterno. Il muro che si affaccia a sud si inarca contro la mia schiena come il palmo a coppa della mano di un gigante, trasmettendo lungo la mia spina dorsale il calore che ha conservato. Fuori il vento geme. All’interno il fuoco crepita e scoppietta. È durante la tempesta che facciamo esperienza del dimorare in tutta la sua intensità. 
In tal modo, contrapposti all’ostilità, alle forme animali della tempesta e dell’uragano […] la casa acquista le energie fisiche e morali del corpo umano […] è uno strumento per affrontare il cosmo”2 scrisse Gaston Bachelard. 
Bachelard non è stato il primo a paragonare l’energia del corpo a quella di un edificio. Qui il corpo è una metafora nel senso più pieno del termine, ossia il diretto trasferimento di un significato da un dominio a un altro, unendo efficacemente due entità precedentemente separate. In questo caso la capacità latente dell’abitazione di proteggere viene attivata dalla tempesta. La casa passa da uno stato di quiete a uno di attiva risposta. La tempesta carica l’atmosfera, risveglia la casa, trasformandola in uno strumento sensibile: un contenitore animato, dotato di energia fisica e morale. Per riuscire ad apprezzare autenticamente il potere di una dinamica del genere, è necessario farne esperienza in prima persona. 
Essere testimone dei molti umori del deserto del Sonora dal mio rifugio di Taliesin West mi ha offerto questa opportunità: la totale immersione nelle capacità didattiche del corpo, della dimora e del deserto. 
Era esattamente quello che Frank Lloyd Wright aveva in mente quando mandò i suoi apprendisti a vivere in tenda e a costruire rifugi nel deserto. Con l’approccio proprio di un maestro Zen, egli cercò di creare le condizioni in cui poteva scaturire il lampo di conoscenza viscerale e onnisensoriale. Riteneva che una simile esperienza fosse il terreno esistenziale fondamentale per diventare architetti. 
Per essere in grado di progettare un edificio che sia un’entità vivente e non una scatola inerte, è necessario fare prima esperienza di che cosa significhi veramente abitare. 
Wright comprese come questo profondo apprendimento non sarebbe mai potuto avvenire fintantoché lo studente non avesse percepito la propria identità e appartenenza all’interno di una più profonda conoscenza di sé, del costruire e del mondo. 
Un fondamento altrettanto esperienziale costituiva pure l’essenza stessa della filosofia educativa di John Dewey, per il quale l’esperienza del corpo era il terreno primario per qualunque cosa pensiamo, conosciamo, intendiamo o comunichiamo. La filosofia di Dewey non era solo pragmatica, ma anche in modo concreto responsabile e informato sulla più aggiornata fisiologia, psicologia e stato delle neuroscienze del suo tempo. 
Quando Wright fondò la sua scuola, basò la sua pedagogia sui principi cardine di Dewey. Il fondamento della Taliesin Fellowship, quello “dell’imparare facendo”, era il distillato dell’intera filosofia dell’esperienza di Dewey. Nel prospetto originale del 1932, in cui Wright incluse Dewey tra gli “Amici di Taliesin”, agli studenti veniva offerto un apprendistato con un maestro: era la tecnica classica per l’apprendimento delle arti marziali, dell’arte liutaia, della pittura, della scultura, della carpenteria, dell’edilizia: tradizioni di arti e mestieri che erano riconosciute e praticate da secoli in tutto il mondo. In un contesto del genere l’apprendimento non avveniva tanto attraverso lo studio di testi quanto direttamente trasferito dalla conoscenza incarnata del maestro alle capacità ricettive ed esperienziali dello studente. E tuttavia come pedagogia per l’architettura, il modello di apprendistato si poneva in netto contrasto rispetto alla convenzionale formazione architettonica dell’epoca che da tempo aveva abbandonato la conoscenza incarnata per perseguire ricerche puramente intellettuali. 
Wright e Dewey furono tra i pochi pensatori del XX secolo a comprendere la grande ricchezza, complessità e importanza filosofica dell’esperienza incarnata, il cui primato nell’educazione in architettura, infatti, può essere considerato uno dei meno conosciuti tra i contributi di Wright all’architettura moderna. 
Nel corso degli ultimi tre decenni, mentre la teoria architettonica seguiva gli altri studi umanistici nelle aride e vertiginose vette della semiotica, esperti in numerose branche delle scienze si muovevano nella direzione diametralmente opposta. Invece di rimanere impaniati in intricati giochi cerebrali, che negavano del tutto la realtà emozionale e corporale, i ricercatori accumulavano prove sul fondamento corporeo della mente e su ciò che esso significava. 
Discipline diverse come la biologia, la psicologia, le neuroscienze cognitive e la fenomenologia presentavano regolarmente delle prove capaci di dimostrare fino a che punto le proprietà della mente dipendessero dal funzionamento del sistema nervoso umano. Esse concordavano all’unanimità su questo fatto: tutti i comportamenti umani dipendono dai nostri cervelli come membra organiche dei nostri corpi, che sono a loro volta attivamente coinvolti negli ambienti ecologici, architettonici, sociali e culturali in cui abitiamo. 
L’incarnazione reclama a gran voce una riconcettualizzazione su vasta scala di chi e di che cosa siamo, in modi che sono significativamente diversi dalla nostra tradizione filosofica e religiosa occidentale. Accettare che le nostre menti possano comprendere aspetti del nostro ambiente fisico e culturale sta a significare che il tipo di ambienti che creiamo può modificare le nostre menti e la nostra capacità di pensiero, emozione e comportamento. 
Un’asserzione del genere indebolisce la sicurezza delle nostre categorie ontologiche. Infatti, le dicotomie che separano l’interno dall’esterno e il soggetto dall’oggetto non sono distinzioni di categoria quanto astrazioni che sorgono dalla nostra continua interazione nel mondo. Il concetto di un sé separato che opera in isolamento rispetto al suo ambiente è perciò rigettato tra i resti di un paradigma logoro.
Possiamo rintracciare il pensiero non dualistico di Dewey attraverso le recenti scienze cognitive nell’opera di Francisco Varela e Humberto Maturana, Alva Noë e George Lakoff, nelle neuroscienze, soprattutto nell’opera di Gerald Edelman, Vittorio Gallese e Giacomo Rizzolatti, attraverso le investigazioni fenomenologiche di Mark Johnson; tutti loro sostengono che la realtà dell’incarnazione impone una radicale rivalutazione dei dogmi a lungo coltivati che separano il materiale dall’intellettuale, la mente dal corpo e il sé dall’ambiente. Mentre le implicazioni dell'affermazione provocatoria di cui sopra non hanno ancora fatto breccia nella coscienza pubblica, altrove interi programmi di ricerca sono stati demoliti e riorientati, riorientati, ed emergono nuove discipline capaci di confrontarsi con questa realtà recentemente assodata. 
Come Harry Mallgrave dichiara in questo libro: non è esagerato dire che abbiamo imparato di più su noi stessi come esseri biologici nell’ultimo mezzo secolo che in tutta la storia umana precedente; e come risultato di questi sviluppi, gli studi umanistici – sociologia, filosofia, psicologia e paleontologia umana in particolare – sono stati costretti a rivedere i loro presupposti teorici e i loro programmi di ricerca in modo radicale. 
Eppure gli architetti sono rimasti sorprendentemente indifferenti o sembrano essere poco influenzati da tali eventi. Al pari di molte altre professioni, la pratica dell’architettura è in crisi, e nonostante al giorno d’oggi trascorriamo il novanta per cento del nostro tempo all’interno di edifici, gli architetti ne progettano una piccolissima parte. 
Nel frattempo, le scienze cognitive e le neuroscienze, e la teoria dell’incarnazione su cui si basano, stanno rivoluzionando la conoscenza tra le discipline. In effetti, alcuni osservatori hanno suggerito che ci troviamo nel mezzo di una rivoluzione nelle neuroscienze che è importante tanto quanto quella galileiana lo è stata nella fisica e quella darwiniana nella biologia. 
Un gruppo unanime di esperti provenienti dalle discipline più disparate sostiene il ruolo essenziale che l’ambiente – edificato o naturale – gioca nel determinare la nostra evoluzione mentale, fisica, culturale e sociale. 
In quanto architetti, non siamo solo consapevoli di tale premessa, molti di noi ci hanno scommesso le proprie carriere. Mentre possiamo non essere convinti del ruolo decisivo che l’ambiente edificato gioca nell’orientare il comportamento umano e l’evoluzione, i nostri clienti, i nostri eredi e il nostro pubblico certamente lo sono.
Comprendere il ruolo dell’architettura nel dare forma a chi siamo e a chi possiamo diventare significa aumentare l’importanza del nostro lavoro, innalzare la statura del nostro ruolo e mettere in luce la misura del nostro contributo al benessere umano ed ecologico. Ignorare il potenziale impatto della ricerca neuroscientifica sull’educazione e sulla pratica architettonica significa mancare una straordinaria opportunità, proprio perché siamo quel gruppo di professionisti a cui questa nuova conoscenza può più persuasivamente servire. 
Dal momento che l’architettura costituisce un ponte tra la scienza e l’arte, da sempre noi architetti abbiamo applicato nella nostra pratica principi scoperti dalla ricerca scientifica. 
Uno dei primi sostenitori dell’impiego delle neuroscienze come fonte di informazioni per l’architettura è stato Richard Neutra; poiché lavorò con Wright quando la Fellowship stava prendendo forma, è solo una leggera forzatura considerarlo un apprendista di prima generazione di Taliesin. Egli scrisse Progettare per sopravvivere negli anni della seconda guerra mondiale. Se il titolo può sembrare estremo, ossia che il concetto che la sopravvivenza umana possa in qualche modo essere garantita dalla progettazione, le promesse del modernismo erano tuttavia esattamente quelle. 
L’architettura modernista aveva il potenziale di liberarci dalle catene di un pensiero angusto nato in ambienti cupi: avrebbe migliorato la nostra efficienza, allargato i nostri orizzonti fisici e mentali, e garantito un futuro più luminoso. 
Neutra promosse questi nobili scopi, ed era convinto che la progettazione dovesse fondarsi sulla comprensione biologica della natura umana. Scrisse: la nostra epoca è caratterizzata da una sistematica ascesa delle scienze biologiche e sta voltando le spalle alle ipersemplificate vedute meccanicistiche dei secoli XVIII e XIX, senza sminuire in alcun modo il bene temporaneo che tali vedute poterono a suo tempo arrecare. 
Un  risultato importante di questo nuovo modo di considerare la vita potrà essere quello di mettere a nudo ed evolvere appropriati principi operativi e criteri di progettistica3. 
Progettare per sopravvivere è il frutto di una vita di esperienza nella progettazione, integrata dalle ricerche di psicologia e fisiologia che l’architetto austriaco andava compiendo. 
Il fatto che il libro sia stato dedicato a Wright può essere considerato come la prova della lealtà di Neutra in merito all’origine del pensiero incarnato e delle investigazioni empiriche a cui Taliesin diede origine. 
Neutra proseguì la tradizione a cui lo stesso Wright apparteneva, quella che concepiva l’integrità della persona nel contesto di una più vasta ecologia comprensiva dei regni biologici, sociali, culturali e linguistici, e quella che era guidata dai principi dedotti attraverso “l’osservazione concreta anziché dalla speculazione astratta”4. 
L’empirismo incarnato è in armonia con le conoscenze avanzate nel meglio delle scienze cognitive, delle neuroscienze e della fenomenologia del panorama contemporaneo. Anche se la rivalutazione della nostra incarnazione potrebbe disvelare nuove frontiere in altre discipline, le più antiche manifestazioni dell’architettura sono sempre state radicate nell’esperienza corporea. 
Vitruvio raccolse un migliaio di anni di cultura classica nella sua formulazione dell’“uomo ben fatto”, un’eredità portata avanti da Leon Battista Alberti, il quale riteneva che l’edificio ideale dovesse emulare il corpo umano. La celebrazione del corpo umano è stata presente fino al Rinascimento, solo più tardi l’uomo fu espunto dall’equazione architettonica. A parte qualche eccezione degna di nota – come l’esempio che ho cercato di descrivere per Taliesin –, l’esperienza corporea umana è stata effettivamente espunta dall’educazione e dalla pratica architettonica proprio fino al giorno d’oggi. 
Motivo per cui, se le scoperte delle neuroscienze e dell’empirismo incarnato nelle quali l’educazione e la pratica architettonica affondano le proprie radici possono non costituire una novità nel panorama della storia dell’architettura, esse possono tuttavia servire come catalizzatore per recuperare l’umanità smarrita lungo il cammino. 
Come Neutra aveva predetto, le scienze biologiche in generale e le neuroscienze in particolare sono finalmente pronte a fornire alcuni principi e criteri basilari con cui poter lavorare nella progettazione. I capitoli del libro considerano da un punto di vista critico quali potrebbero essere alcuni di questi principi e criteri, molti dei quali sono emersi durante il simposio “Minding Design: Neuroscience, Design Education and the Imagination”, una collaborazione tra la Frank Lloyd Wright School of Architecture e l’Academy of Neuroscience for Architecture che ha portato i più influenti architetti e neuroscienziati attorno allo stesso tavolo: un tavolo collocato nel campus di Taliesin West.   
Come ogni abile anfitrione sa, il successo di una festa spesso dipende dall’atmosfera del contesto. L’ambiente non offre solo riparo al tavolo, ma influenza lo svolgimento, il contenuto e l’umore delle conversazioni che hanno luogo tutt’attorno. Il capolavoro isolato di Wright ne è un esempio. 
Le discipline delle neuroscienze e dell’architettura si intersecano l’una con l’altra nella comprensione e nei doveri verso il loro soggetto, l’essere umano incarnato, un essere che può esistere solo nella relazione: relazione con i luoghi che abitiamo, relazione dell’uno verso l’altro, relazione con il mondo. Gli ambienti architettonici hanno la capacità di favorire, indebolire o distruggere tali relazioni. 
Sia i neuroscienziati coinvolti nella Academy of Neuroscience for Architecture che lavorano al Salk Institute di Louis Kahn sia gli studenti di Taliesin sono consapevoli di una interdipendenza del genere. Il fine settimana nel deserto è stato un punto di partenza, uno stimolo che ha aperto uno spiraglio su qualche nuova finestra e ne ha spalancate altre così ampie da sbattere contro lo spigolo del muro. Quell’occasione ci ha dato lo slancio da cui derivano i contributi per il presente lavoro. 
In questo contesto, professionisti di discipline come la psichiatria, le neuroscienze, la fisiologia, la filosofia, le scienze cognitive, la storia e la pratica dell’architettura si incontrano non solo per esplorare quello che le neuroscienze e l’architettura possono imparare l’una dall’altra: essi collocano il dialogo in un contesto storico, esaminano le implicazioni nella pratica corrente e nella reimmaginata educazione architettonica, sognano la forma del futuro. 
Da questa esperienza emergono i criteri di progettazione forgiati nel corso di eoni di evoluzione sul pianeta, i cui imperativi non sono né arbitrari né negoziabili. L’attenzione non è ristretta ad algoritmi, significanti e particelle, ma orientata verso i fattori emergenti, affettivi, sensuali, gestuali e cinestetici che modellano la percezione e l’esperienza umana. 
Nel libro troverete una sempre più complessa e raffinata comprensione dell’impulso, degli aneliti, dei desideri e delle discussioni che costellano l’inequivocabile agire degli edifici che creiamo. Preoccupazioni di antica data emergono sotto nuove spoglie, vecchie dicotomie vengono riorientate, le priorità ridefinite, teorie un tempo in voga cominciano a vacillare, vecchie alleanze vengono messe in discussione e nuove vie intraprese. 
Nei capitoli del libro non troverete né dogmi né certezze ideologiche pronte a riempire il vuoto lasciato dalle teorie un tempo amate e che ora siamo costretti ad abbandonare. Al contrario, si tratta di un inizio, di un punto di partenza all’interno di un processo più ampio. 
Confrontarci autenticamente con le implicazioni dell’incarnazione e accogliere con serietà le scoperte provenienti dalle nuove scienze della mente è un’impresa di vasta portata, intrinsecamente multidisciplinare e necessariamente collaborativa. Un’impresa che richiede una “coevoluzione di teorie”5, come ha suggerito la filosofa Patricia Churchland. 
L’evoluzione è un processo che procede per crisi e ripartenze, innescato da una pluralità di condizioni, impulsi, comandi: lavora dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso. 
Sostenere che “i neuroscienziati saranno i prossimi grandi architetti”6 tradisce un malinteso sui ruoli e sulla natura intrinsecamente interdipendente delle due professioni. Nonostante la popolare mitizzazione del contrario, gli architetti sono e sono sempre stati giocatori di squadra. Siamo più simili ai registi, dipendenti dalla chimica interattiva tra i luoghi, gli attori, la storia e il budget, piuttosto che dittatori solitari con visioni trascendentali. Con raffinata sensibilità, esperienza e conoscenza condivisa, siamo in grado di modellare un tutt’uno da una moltitudine di variabili differenti. Un edificio più modesto potrebbe essere un insieme di parti. 
Il nostro lavoro migliore emerge da una sintesi che trascende ognuna delle sue variabili per diventare completo, un’unica entità, un nuovo mondo. Per riuscirci, dobbiamo essere dei generalisti che ascoltano e dipendono dalle competenze dei nostri collaboratori. 
È importante quello che facciamo. La nostra responsabilità è eticamente fondata nel nostro passato di esseri umani, e solo onorando le nostre origini biostoriche possiamo sperare di progettare un futuro sostenibile. “Oggi la progettistica può esercitare un vasto influsso sull’assetto nervoso di generazioni a venire”7 scrisse Neutra sessant’anni fa. 
Davvero, l’architettura non è un’opzione, non è un oggetto di lusso, è, ed è sempre stata, il vero tessuto della nostra sopravvivenza, della nostra potenziale fioritura o della nostra possibile estinzione.




Note:
¹ Richard Neutra, Progettare per sopravvivere, Edizioni di Comunità, Milano, 1956, p. IX. 
2 Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, Bari, 2006, p. 73.
3 Neutra, cit., p. 17. 
4 Ibid., p. 7.14 
5 Patricia Churchland, Neurophilosophy: Toward a Unified Philosophy of Mind and Brain, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1986. 
6 Emily Badger, “Corridors of the Mind”, in «Pacific Standard», 5 novembre 2012. 
7 Neutra, cit., p. 75.
 

Fonte:
FUP Best Practice in Scholarly Publishing (DOI 10.36253/fup_best_practice)
Sarah Robinson, Introduzione: progettare per sopravvivere, pp. 9-15, © 2021 Author(s), CC BY-NC-SA 4.0 International, DOI 10.36253/978-88-5518-286-7.0210 (la mente nell'architettura • sarah robinson, juhani pallasmaa) 



domenica 25 maggio 2025

Atmosfere: Sentire l'Architettura attraverso le Emozioni, Elisabetta Canepa, e AA.VV.


Atmosfere: Sentire l'Architettura attraverso le Emozioni

Approfondimenti neuroscientifici preliminari sulla percezione atmosferica in architettura

di: Elisabetta Canepa, Valter Scelsi, Anna Fassio, Laura Avanzino, Giovanna Lagravinese e Carlo Chiorri


Casa sulla Cascata, interno, di Frank Lloyd Wright


Cos'è l'atmosfera architettonica? Per rispondere a questa domanda, proponiamo un paradosso: una definizione precisa del concetto di atmosfera, intrinsecamente vago e ambiguo, che soddisfi, per quanto possibile, criteri e metodologie scientifiche. Suggeriamo che il termine atmosfera , inteso in un contesto architettonico, definisca uno stato di risonanza e identificazione (sensomotoria, emotiva e cognitiva) tra un individuo e lo spazio costruito circostante. Gli esseri umani possono entrare in empatia con spazi inanimati quando stabiliscono interiormente una simulazione incarnata di determinate caratteristiche architettoniche. Pertanto, le atmosfere potrebbero essere determinate, mappate e misurate attraverso metodi quantitativi che tracciano le risposte emotive, cognitive e neurofisiologiche degli individui alle condizioni spaziali.
Lo studio esplorativo ha illustrato i tentativi di testare questa ipotesi, intraprendendo un esperimento basato sulle teorie fenomenologiche e della cognizione incarnata. Abbiamo analizzato l'unità spaziale del corridoio, alterata in ventuno varianti. Abbiamo modificato un parametro potenzialmente atmosferico alla volta e raccolto le risposte emotive dei partecipanti. I soggetti hanno interagito con ambientazioni immersive di realtà virtuale. I nostri risultati dimostrano che un approccio sperimentale è applicabile alla valutazione della percezione atmosferica e suggeriscono quali caratteristiche architettoniche sembrano interagire con la sensibilità empatica del percettore ( ad esempio colori e modelli di materiali) e quali no ( ad esempio qualità dell'illuminazione).


Indice:

Introduzione
Fase uno: un problema di definizione
Fase due: Contesto
Fase tre: l'ipotesi
Fase quattro: la sfida dei test, Partecipanti, Procedure sperimentali, Analisi statistica, Risultati
Fase cinque: interpretazione dei risultati sperimentali
Conclusioni




Introduzione

1Questo articolo confronta e riassume alcune riflessioni di un progetto di dottorato (Canepa, 2019) prevalentemente incentrato sull'esplorazione della dimensione nebulosa delle atmosfere architettoniche. Questo percorso di ricerca scientifica ha offerto un'opportunità senza precedenti per testare un approccio interdisciplinare, volto a integrare considerazioni artistiche e teoriche sullo spazio architettonico con metodi quantitativi e riproducibili, appositamente progettati per valutare le reali risposte emotive dei soggetti alle condizioni spaziali. Il nostro obiettivo era analizzare le dinamiche atmosferiche attraverso due discipline accademiche interconnesse: architettura e neuroscienze. Più recentemente, queste due discipline hanno iniziato a interagire, sia nella combinazione delle loro teorie sia attraverso indagini basate sulla sperimentazione.

2In sintesi, possiamo definire la dimensione atmosferica come l'ambito in cui si realizza la vocazione esperienziale dell'architettura, quella che scaturisce dalla natura fisica dell'ambiente costruito per poi trascenderla. L'atmosfera, infatti, riguarda sia il campo misurabile dei parametri fisici dell'ambiente costruito, sia quello evanescente delle sensazioni personali. Nel suo complesso, l'atmosfera si comporta come il segno impresso sui nostri sensi e sul nostro intelletto dall'esperienza dello spazio architettonico. Anche se l'aura atmosferica non è immediatamente percepibile, non possiamo separare l'architettura da essa. "Che le persone ne siano pienamente consapevoli o meno, in realtà traggono aspetto e sostentamento dall'atmosfera delle cose in cui vivono o con cui vivono. Sono radicate in esse proprio come una pianta nel terreno in cui è piantata" (Wright, 1954, citato in Pfeiffer, 2010, p. 350). L'obiettivo principale del nostro studio è stato comprendere il significato fondamentale e i meccanismi d'azione della percezione atmosferica architettonica (Pallasmaa, 2014). Successivamente, nel tentativo di esplorare nuovi argomenti utili a risolvere l'enigma atmosferico dell'architettura, si è proceduto con una digressione nel campo delle neuroscienze cognitive.

3Nell'ambito lessicale della disciplina architettonica, atmosfera sembra inizialmente un termine familiare, comprensibile e innocuo. Tuttavia, esplorandone il significato profondo e intimo, si rivela incerto, ambiguo e incomprensibile. L'atmosfera è "uno stato difficilmente definibile non perché raro e insolito, ma, al contrario, perché onnipresente – seppur a volte inosservato – quanto la situazione emotiva" (Griffero, 2010, 2014, p. 1). Analizzando l'origine e l'evoluzione di questo termine, emerge il suo carattere misterioso e vago su tre livelli: semantico, ontologico ed epistemico (Rauh, 2017). L'atmosfera è un fenomeno complesso perché invisibile, intangibile, sfuggente, privo di limiti fisici, instabile, istintivo, altamente soggettivo e spesso descritto attraverso metafore. In sostanza, l'atmosfera è orfana – per inerzia intrinseca – di un'identità precisa. Molti autori hanno scritto della natura impalpabile del concetto di atmosfera. Uno dei primi a esprimere questo concetto è stato Mark Wigley nel suo fondamentale articolo del 1998, divenuto, nel tempo, la pietra angolare dell'indagine nel dominio atmosferico. "L'atmosfera sfugge al discorso che la riguarda. Per definizione, manca di definizione. È proprio ciò che sfugge all'analisi. Qualsiasi proposta specifica per la costruzione dell'atmosfera, per quanto mutevole o indeterminata, non è più atmosferica" ​​(p. 27). Tuttavia, la difficoltà, se non addirittura l'impossibilità, di risolvere la questione atmosferica è pari all'urgenza di trovare una comprensione chiara e, se possibile, scientificamente fondata.

4Almeno negli ultimi due decenni, le indagini sull'atmosfera, volte a comprenderne, sperimentarne e rappresentarne visivamente le qualità espressive, hanno attirato un'attenzione senza precedenti. Dalla fine del XX secolo , alcuni studiosi hanno addirittura individuato una "svolta atmosferica" ​​(Soeteng, 1998, citato in Griffero, 2010, 2014, p. 3). La comunità architettonica ha ritardato significativamente il suo ingresso in questa attuale discussione multidisciplinare sulle dinamiche atmosferiche, a differenza di altri campi di ricerca accademica, come l'estetica e la fenomenologia, che hanno già considerato la questione atmosferica nel processo di progettazione a diverse scale (dalla pianificazione urbana al design di prodotto). Pertanto, il nostro lavoro intendeva esplorare la questione atmosferica da una prospettiva architettonica indipendente, studiando l'argomento attraverso il filtro sensoriale-emozionale del soggetto percettivo situato nell'ambiente costruito.

5Da un punto di vista metodologico, la nostra ricerca è organizzata in cinque principali fasi operative.


Fase uno: un problema di definizione

1 L'aggettivo ineffabile è un riferimento alla celebre nozione inventata da Le Corbusier, 'l'espace ind (...)

6La nostra riflessione principale è stata quella di produrre una definizione più precisa di atmosfera al fine di chiarire i confini del nostro ambito di ricerca: cos'è l'atmosfera architettonica? O, forse più salientemente, ha senso interrogarsi sul significato di atmosfera, mentre apparentemente essa evita qualsiasi definizione stipulativa? La fiducia in una risposta positiva ha incoraggiato il nostro gruppo ad andare oltre l'identificazione di una semplice definizione, cercando – paradossalmente – una definizione oggettiva e scientifica. Abbiamo quindi stabilito una spiegazione semantica univoca, con l'obiettivo di formalizzare un concetto che era stato definito, fino ad ora, principalmente attraverso metafore ed espressioni "ineffabili" 1 . Il primo passo necessario ha riguardato l'etimologia del termine atmosfera e la sua evoluzione. In seguito, abbiamo mappato l'intera tassonomia delle declinazioni semantiche riconosciute dall'architettura. In altre parole, abbiamo cercato di rispondere alle domande: cos'è l'atmosfera per gli architetti? Qual è stato il suo significato nel corso della storia dell'architettura?

2 ἀτμός ('vapore') + σφαῑρα ('palla', 'sfera').

7Sebbene il termine atmosfera derivi da due termini greci 2 , non appartiene al lessico del greco antico. Originariamente coniato in fiammingo (con il termine composto " damigella "), il neologismo latino atmosphaera (creato nel 1608 dall'astronomo olandese Willebrord Snellius, traducendo gli scritti cosmografici del suo connazionale Simon Stevin) si diffuse nelle lingue europee a partire dalla metà del XVII secolo (Martin, 2015, p. 44). Inteso nel suo significato letterale di "palla di vapore", il termine era particolarmente presente nei saggi cosmologici e meteorologici. Tuttavia, nel corso del XIX secolo , fiorì un'interpretazione più figurativa di questo termine meteorologico. Con l'età romantica, il termine atmosfera assunse nuove declinazioni culturali, divenendo un mezzo semantico in grado di descrivere relazioni intersoggettive di varia natura (sociale, psicologica, sentimentale ed etica), non solo tra due o più individui, ma anche tra un individuo e il suo ambiente fisico. “Eppure le atmosfere romantiche destabilizzarono la moderna dicotomia tra riferimento letterale e figurazione illusoria. Erano strutture sensoriali di sentimento comunicabile, al tempo stesso somatico e ideale, estetico e materiale, affettivo e concettuale” (Ford, 2018, p. 20). Questa composita evoluzione semantica è il risultato di una genealogia molto complessa e non lineare (Riedel, 2019, pp. 56-88). Col passare del tempo, alcuni significati semantici scomparvero: “con i progressi nella conoscenza scientifica del corpo umano, il termine 'atmosfera' divenne”, ad esempio, “largamente obsoleto come termine medico all'inizio del XIX secolo ” (p. 87). Al giorno d'oggi, la contaminazione tra significato letterale e allusione figurata è completa: la natura flessibile dell'espressione atmosfera , un raffinato equilibrio tra specialistico e indeterminato, ha favorito la dispersione di quel termine tra i diversi rami del sapere umano. Molte discipline hanno sviluppato significati specifici, derivanti dalle proprie prospettive procedurali. Infatti, troviamo spiegazioni distinte e autonome del concetto di atmosfera in diversi campi, come la fisica, la meteorologia, l'acustica, il diritto, la medicina, la filosofia, la letteratura, il cinema e il teatro, la musica, l'arte e, infine, l'architettura.

3 L'idea fondante dell'atmosfera architettonica è racchiusa in molti dei suoi sinonimi ed equivalenti stranieri (...)

8Oggigiorno, l'approccio atmosferico rappresenta un elemento nevralgico sia per la pratica progettuale sia per la comprensione critica della materia architettonica. Ciononostante, il suo spettro semantico fatica a definire i propri confini. Non è facile chiarire quando il tema atmosferico abbia iniziato a circolare nel dominio architettonico. Come sottolinea Harry Francis Mallgrave (2018, p. 121) nella sua ricostruzione dell'evoluzione del termine, è probabile che il primo architetto a introdurre il termine " atmosfera" , all'interno di un'opera pertinente alla disciplina architettonica, sia stato il tedesco Gottfried Semper nel 1860. Secondo Mallgrave, all'inizio del XX secolo , il termine " atmosfera" divenne "relativamente comune in pochi circoli progettuali" ( ibid .), per poi scomparire in un oblio anestetizzante, a partire dalla metà del secolo. La sensibilità atmosferica è tornata a crescere dopo alcuni decenni grazie al risveglio estetico promosso da Gernot Böhme, fondatore della Neue Ästhetik (1991, 1993, 1998, 2001, 2006, 2013, 2017). Dal nostro punto di vista, sembra che il vocabolario atmosfera abbia continuato a essere presente nel bagaglio espressivo dei designer, solo trasformando la propria apparenza (sostituita da sinonimi e surrogati stranieri 3 ), ma mai contestualizzata in modo preciso e condiviso.

9Nelle più note enciclopedie e dizionari di architettura italiani non si trova traccia del termine atmosfera (Portoghesi, 1968; Pevsner, Fleming & Honour, 1966, 1992), neppure nella sua declinazione tecnico-fisica. Al contrario, l'influenza atmosferica emerge dal lessico spontaneamente utilizzato da alcuni architetti e incide sul registro linguistico di alcune riviste coeve (Romano, 1941; Albini, 1954; Bucci, 2005). Libero di non rispettare un restrittivo confine semantico, l'elemento atmosferico si estende all'interno del vasto panorama delle interpretazioni ammesse, acquisendo progressivamente una crescente autonomia. Un esempio dimostrativo di tale tendenza è la rubrica di critica progettuale Meteorologia , curata da Philippe Rahm e ospitata, per tutto il 2018, sulla rivista Domus , diretta da Michele De Lucchi. Qui, sviluppata in un ambito specifico (una sintesi originale di fisiologia, termodinamica e climatologia), l'atmosfera si impone come atto fondante della disciplina architettonica:
L'architettura è fondamentalmente la progettazione dell'atmosfera. […] Invece di ragionare in termini di griglia, struttura, simmetria e forma, dobbiamo imparare a ragionare in termini di convezione, conduzione, emissività ed effusione. Invece di lavorare con mattoni, cemento, acciaio o legno, dobbiamo lavorare con luce, calore, ombra o umidità (Rahm, 2018, n. 1020, p. 107).

10Il dominio dell'architettura, fondato sulla sua autonomia, ma al tempo stesso profondamente influenzato da stimoli esterni, ha accumulato un'indefinita miscellanea di significati semantici attorno al tema atmosferico. All'interno di questa rete incoerente di interpretazioni, siamo in grado di riconoscere un ampio spettro di varianti espressive, alcune più accettate e utilizzate di altre. In sintesi, l'insieme delle definizioni di atmosfera architettonica ammette almeno undici categorie di senso:

atmosfera come condizione di controllo ambientale (ovvero una bolla microclimatica artificiale, in grado di influenzare il comfort psicofisico degli individui attraverso la manipolazione di fattori termici, igrometrici e fisico-chimici nella composizione dell'aria indoor);

atmosfera come messa in scena meteorologica (cioè un procedimento di progettazione scenica, che lavora insieme alla luce e ai fenomeni propri dell'atmosfera terrestre, come nuvole, foschie, correnti d'aria o fulmini);

atmosfera come qualità estetico-decorativa (ritrovata nel rivestimento esterno dell'oggetto architettonico o, più propriamente, nel suo apparato decorativo, indipendente dalle condizioni ambientali circostanti);

atmosfera come identità innata e distintiva del luogo (ovvero il genius loci , comunemente interpretato come 'spirito del luogo');

atmosfera come immaginario collettivo (risultato dello Zeitgeist , lo 'spirito del tempo', che si erge a veicolo dei valori tipici di una comunità: valori sociali, ideologici, politici, sacri);

atmosfera come metafora (legata al potere integrativo delle parole e dell’immaginazione, capace di evocare una presenza fisica mancante o di delineare qualità particolari che trascendono il dominio del concreto e del materiale) ;

atmosfera come carattere costitutivo (cioè identità espressamente progettata, capace di conferire un aspetto esplicito ed inequivocabile ad uno spazio specifico, attribuendogli una connotazione emotiva, sentimentale, sociale, ideologica, morale o spirituale);

atmosfera come aura (cioè il tratto intrinseco di autenticità e unicità che emerge dall'opera architettonica);

atmosfera come collettore di ricordi (legati al passato personale, sintesi di esperienze intime vissute e di associazioni subconsce);

atmosfera come esperienza percettiva (ovvero la tensione percettiva tra le caratteristiche architettoniche di un luogo e la sensibilità soggettiva dell'individuo immerso in quell'ambito spaziale);

atmosfera come stato d'animo (cioè la tonalità emotiva irradiata dall'ambiente circostante e sintonizzata sullo stato d'animo o sul sentimento temporaneo di chi si trova in quello spazio).


Fase due: Contesto

11Dopo aver analizzato la questione atmosferica entro i consueti confini disciplinari dell'architettura, abbiamo dovuto affrontare una questione delicata: abbiamo oltrepassato i confini disciplinari e predisposto un adeguato background critico e teorico che consentisse una chiara comprensione, da parte della comunità architettonica, degli aspetti neuroscientifici nel contesto dell'atmosfera architettonica. Molte discipline, nel corso dei secoli, hanno influenzato l'interpretazione dell'architettura, aprendo innovative possibilità di indagine teorica e sperimentale. La nostra decisione di confrontarci con la cultura neuroscientifica è dovuta allo scopo di osservare l'esperienza architettonica attraverso nuove intuizioni, seppur preliminari e non complete. Lo studio esplorativo illustrato di seguito è solo il primo passo verso verifiche più fondate sul piano neuroscientifico. Le neuroscienze sono la nostra premessa speculativa di partenza: l'approccio a questa disciplina è mediato da tesi fenomenologiche, comportamentali ed estetiche.

12Il contributo delle neuroscienze è cruciale nell'esame dei meccanismi sensoriali, emotivi e cognitivi nelle dinamiche percettive. Le neuroscienze indagano le funzioni mentali (in altre parole, i processi che organizzano l'attività mentale, tra cui memoria, immaginazione, pensiero, ragionamento e pianificazione motoria), studiando l'anatomia e la fisiologia del sistema nervoso da una prospettiva strettamente biologica. Negli ultimi decenni, grazie all'introduzione di tecniche avanzate di analisi neurofisiologica e di neuroimaging, le neuroscienze hanno conosciuto una grande espansione, diventando il fulcro di numerosi progetti di ricerca interdisciplinari. Tuttavia, finora, la loro applicazione nel campo della progettazione è stata scarsa. Pertanto, prima di testare i risultati di una possibile interrelazione tra architettura e neuroscienze, è necessario riflettere su alcune questioni iniziali e fondamentali. In primo luogo, perché e in che modo le neuroscienze potrebbero essere utili nella pratica dell'architettura?

13Nuove ipotesi sperimentali sull'esperienza umana nell'ambiente costruito hanno il potenziale di conferire al processo di progettazione un rinnovato rigore scientifico, necessario per molti studiosi. Attualmente sono disponibili tecniche altamente sviluppate di neurofisiologia e neuroimaging. La loro combinazione con procedure più familiari per l'attività di progettazione ( ad esempio la simulazione in realtà virtuale) potrebbe favorire l'evoluzione dello studio di come le persone percepiscono, immaginano e interpretano texture, colori, distanze, proporzioni, ovvero l'insieme delle proprietà fisiche, sensoriali e materiali che definiscono una stanza o un paesaggio urbano. Architettura e neuroscienze erano branche del sapere separate fino a quando non abbiamo acquisito la consapevolezza che il cervello umano si sviluppa in una continua condizione di adattamento alle variazioni dello spazio fisico circostante. Il coinvolgimento dell'architettura era, a quel punto, inevitabile. Negli ultimi dieci anni, la comunità dell'architettura ha iniziato, con entusiasmo sempre crescente, a sostenere l'utilizzo della ricerca neuroscientifica. Tra gli altri, Harry Francis Mallgrave (2010, 2013a, 2013b, 2018) e Juhani Pallasmaa (2013, 2015, 2018), studiosi che da tempo si dedicano alla storia e alla critica dell'architettura entro i confini canonici della disciplina, hanno promosso la diffusione della formazione neuroscientifica per progettisti e studenti di architettura.

4 Questo argomento è emerso nel panel intitolato Progressi nella misurazione degli studi scientifici , tenutosi durante la (...)

14A causa delle loro differenze, architetti e neuroscienziati devono assumere ruoli complementari in questa discussione interdisciplinare. Da un lato, la parte neuroscientifica è incoraggiata a informare gli architetti su come le scelte progettuali influenzino i meccanismi percettivi; dall'altro, i progettisti devono formulare domande appropriate, a cui i neuroscienziati possano applicare i loro potenti strumenti analitici. In altre parole, gli architetti sono necessari per chiarire i problemi, tradurli in domande valide e accurate e presentarle ai neuroscienziati, che poi devono trovare risposte 4 . Un'operazione fondamentale è identificare ciò che vogliamo supervisionare e ciò che vogliamo misurare; soprattutto, dobbiamo chiarire l'obiettivo di questo esercizio di collaborazione interdisciplinare. Il passo preliminare nella determinazione dell'ambito della ricerca è – senza dubbio – un compito degli architetti. L'architetto deve focalizzare e formalizzare una teoria che sarà testata sperimentalmente. Non è, e non dovrebbe essere, prerogativa dei neuroscienziati produrre teorie architettoniche. Dovrebbero essere chiamati solo a fornire concetti e metodi alla comunità architettonica, utili alla loro integrazione in nuovi presupposti teorici sulla percezione spaziale. Come progettisti, l'errore più pericoloso sarebbe insistere su conferme derivanti da dati sperimentali su ciò che è dato per scontato a priori.

15Affrontare la materia neuroscientifica da studiosi non specialisti, evidenziare i vantaggi e i limiti di un approccio neuroscientifico alla ricerca architettonica e riassumere un compendio dei principali contributi neuroscientifici già sviluppati nella letteratura accademica di estetica e architettura sono state considerazioni preliminari, essenziali per analizzare e inquadrare il campo di indagine appropriato in cui abbiamo contestualizzato questo progetto di ricerca. Questo tipo di contesto di indagine non è familiare alla comunità architettonica. Per questo motivo, crearlo è stato così fondamentale: gli abbiamo dato l'opportunità di convalidarsi e difendersi. Una volta raggiunto questo obiettivo, siamo stati in grado di intraprendere la fase successiva del nostro studio: la finalizzazione di un'ipotesi architettonica originale (la definizione personale del fenomeno atmosferico), alla quale abbiamo cercato di abbinare un numero limitato di modelli neuroscientifici appositamente scelti. Eravamo interessati a valutare l'esistenza di una base neurobiologica della percezione atmosferica che sottolineasse l'importanza dell'origine fisiologica delle interazioni spaziali, consapevoli della necessità di moderare l'iniziativa neuroscientifica e di basarci su studi esplorativi, non ancora supportati da misure neurofisiologiche.


Fase tre: l'ipotesi

16Una volta esaminata la vasta rete di interpretazioni dell'atmosfera plasmata dalla comunità architettonica, questo progetto di ricerca ha scelto di lavorare con la categoria di atmosfera come esperienza percettiva . Questa è la nostra ipotesi di partenza. Attraverso la sua intrinseca presenza spaziale, l'azione architettonica infonde un potenziale emotivo nell'ambiente fisico, plasmando il terreno per la percezione atmosferica architettonica. In questa condizione multisensoriale e multimodale, supponiamo che l'essere umano interiorizzi e simuli alcune delle caratteristiche dello spazio costruito.

17Il termine atmosfera definisce quindi uno stato di risonanza e identificazione (sensoriale, emotiva e cognitiva) tra un individuo e lo spazio costruito che lo circonda. Questo orizzonte interpretativo, ispirato alle teorie fenomenologiche e dell'embodied cognition, si confronta con alcuni principi sviluppati dalle moderne neuroscienze cognitive. La premessa è che "un'atmosfera non è semplicemente uno spazio, ma una combinazione di spazio e attività – qualcosa prodotto dalle persone all'interno dello spazio" (Thibaud, 2014, p. 71). L'atmosfera nasce dal contatto, immersivo e assoluto, del soggetto percettivo con il paesaggio architettonico, stimolandone la reattività emotiva e influenzandone le capacità cognitive. Nello scambio di impulsi e reazioni tra l'unità corpo-cervello e l'ambiente fisico, si verifica un'influenza bidirezionale e reciproca.

In sintesi, il cervello controlla il nostro comportamento e i geni controllano il progetto per la progettazione e la struttura del cervello, ma l'ambiente può modulare la funzione dei geni e, in ultima analisi, la struttura del nostro cervello. I cambiamenti ambientali modificano il cervello e quindi possono modificare il nostro comportamento (Cage, 2009, p. XIV).

Le informazioni somatosensoriali rilevate dai sistemi sensoriali esterocettivi ( la pelle) e propriocettivi ( i muscoli) si uniscono alle informazioni registrate dallo spazio peripersonale ed extrapersonale (inclusi stimoli visivi, acustici e olfattivi). L'attivazione di schemi emozionali e motori ricordati e di rappresentazioni mentali modificabili dall'esperienza innesca meccanismi percettivi che decodificano ogni evento spaziale esterno. Come evidenziato da Richard Neutra:
[...] attraverso il processo di respirazione, l'organismo è chimicamente così unito al suo ambiente che i due possono essere separati solo nel modo astratto in cui separiamo l' acqua di due affluenti che confluiscono insieme in un letto fluviale comune. Gli organismi sono immersi nella fusione, sia nel loro ambiente chimico che in quello sociale; vivono letteralmente l'uno dell'altro e l'uno nell'altro (1954, p. 12).

5 Vale a dire i cosiddetti "generatori di atmosfera" (Böhme, 2001; 2013). Vedi anche il noto (...)

18Di conseguenza, abbiamo ipotizzato che il corpo umano possa stabilire un legame empatico con l'ambiente costruito circostante, simulando interiormente alcune caratteristiche architettoniche come forma, proporzione, ritmo, materiali, luce e ombra, temperatura e suoni 5 . Questa esperienza permetterebbe al percettore di comprendere intuitivamente l'ambiente circostante immediato. In particolare, l'atmosfera contribuisce ad attivare e definire la connessione empatica tra un soggetto animato (l'individuo) e un oggetto inanimato (il suo ambiente architettonico). Pertanto, l'atmosfera diventa il medium empatico dell'oggetto architettonico. Questa esperienza empatica è stata analizzata, in questo studio, attraverso il filtro interpretativo fornito dalla Teoria della Simulazione Incarnata (Gallese, 2005; Freedberg & Gallese, 2007; Gallese & Sinigaglia, 2011). I presunti correlati neurali di questo processo funzionale sono i neuroni specchio. Essi dimostrano di essere in grado di tradurre le qualità sensoriali di un oggetto osservato, o di un'azione osservata, in programmi motori per interagire con quegli oggetti. Ogni paesaggio architettonico, attraverso le sue epifanie atmosferiche, entra probabilmente in risonanza con le componenti subpersonali dell'individuo e, di conseguenza, viene interiorizzato come esperienza soggettiva. Stabilire una connessione con un edificio, una stanza o un elemento architettonico potrebbe implicare, quindi, una simulazione spontanea degli atti motori e delle emozioni evocati da quegli spazi e da quegli oggetti (Gallese, 2015, p. XIII). Successivamente, abbiamo ipotizzato che la scena architettonica crei un continuum atmosferico , il substrato di reazioni sensoriali, motorie ed emotive che influenzano il comportamento e l'umore degli individui che interagiscono con quell'ambiente.

19In breve, abbiamo delineato un background teorico neuroscientifico per l'organizzazione del fenomeno atmosferico in architettura. Cinque sono gli elementi critici di questa interpretazione personale:

la natura multisensoriale e sinestetica dei processi percettivi;

i prerequisiti della Teoria dell’Incarnazione , che sottolineano il ruolo del sé corporeo;

la natura emozionale dell'esperienza architettonica;

l'ipotesi dell'empatia neurofisiologica;

meccanismi di rispecchiamento neurale.

Questa integrazione con teorie di origine neurobiologica emerge non per rafforzare la componente concettuale e cerebrale dell'attività architettonica, ma per promuovere la centralità del corpo nella percezione architettonica. Utilizzando queste conoscenze, disponiamo ora di una teoria architettonica sulla percezione atmosferica. Questa definizione precisa del concetto di atmosfera potrebbe essere inclusa in un dizionario di architettura, in modo da colmare la lacuna esistente.


Fase quattro: la sfida dei test

20La sfida che questo studio ha posto è stata quella di confermare – utilizzando una metodologia sperimentale – la validità della teoria architettonica che abbiamo qui ipotizzato sull'atmosfera. In altre parole, ci siamo chiesti se fosse possibile valutare e mappare scientificamente la percezione atmosferica architettonica, determinando quali caratteristiche architettoniche accendano principalmente la tensione atmosferica, sulla base della sensibilità emotiva. Per rispondere a questa domanda e, quindi, per comprendere meglio il rapporto tra architettura e neuroscienze, abbiamo progettato e condotto un esperimento. Ci siamo proposti di verificare l'esistenza di una reazione empatica in soggetti messi a contatto con contesti architettonici carichi di variabili configurazioni di tensione atmosferica. L'obiettivo era determinare se questa presunta performance empatica fosse condivisa tra i soggetti e classificabile come modello nella teoria architettonica, secondo il principio scientifico di oggettività e replicabilità. Sebbene avessimo precedentemente definito la dinamica atmosferica come uno stato di risonanza e identificazione (sensomotoria, emotiva e cognitiva) tra un individuo e il suo ambiente fisico, l'obiettivo del nostro esperimento era specificamente quello di studiare questo fenomeno a livello emotivo. Vale a dire che abbiamo tentato di misurare "i nostri sentimenti" per l'architettura attraverso quelle emozioni che, secondo la nostra ipotesi, sarebbero in grado di orchestrare il continuum atmosferico .

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la sfida dei test, ....
Partecipanti, ....
Procedure sperimentali, ....
Analisi statistica, ...
Risultati ...
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Fase cinque: interpretazione dei risultati sperimentali

32Con l'obiettivo di individuare i parametri più rilevanti per la nostra definizione di atmosfera, come mezzo empatico dell'organismo architettonico, abbiamo analizzato la correlazione statisticamente significativa osservata in specifiche categorie progettuali tra i valori dell'indice B-IRI e quelli di arousal (V3 e V4) e valenza (soprattutto, V3). Nel caso di ambienti colorati e/o materialmente alterati (corridoi V3 e V4), infatti, abbiamo riscontrato una correlazione diretta tra i punteggi dell'indice B-IRI e le letture di arousal e valenza dei nostri partecipanti (cfr. Figura 13). Sembra, quindi, che vi sia una chiara corrispondenza tra la presunta capacità individuale di entrare in empatia con l'esperienza altrui, di percepire le emozioni altrui, e la loro potenziale reazione empatica in risposta a particolari configurazioni dell'ambiente architettonico. Più persone sono empatiche con ciò che è loro simile ( ad esempio, altri soggetti animati), e più riescono a stabilire un legame empatico con quegli oggetti inanimati che normalmente compongono il loro dominio fisico di movimento e interazione, se colori e motivi materici interferiscono con la disposizione architettonica complessiva. In altre parole, gli elementi di design cromatici e materici offrono uno spettro dinamico di variabilità percettiva, in grado di interagire con la sensibilità empatica di chi percepisce e di riverberarsi nelle sue risposte emotive.

33Completamente diverso è il caso della categoria V5, ovvero quella che ha lavorato con la manipolazione di luci e ombre: si è trattato, inequivocabilmente, dell'insieme di soluzioni più stimolanti e piacevoli a livello di effetto emotivo, esattamente come ci aspettavamo. Tuttavia, i corridoi V5 non hanno riportato una correlazione statisticamente significativa con la misura dell'empatia disposizionale. Questo tipo di reazione alla luce potrebbe essere ascritto al fatto che il suo potere di eccitabilità emotiva è così forte da poter influenzare le capacità percettive del soggetto, indipendentemente dalla sua disposizione empatica alla risonanza emotiva. Pertanto, le conseguenze dell'attività di progettazione illuminotecnica potrebbero trascendere il dominio personale della predisposizione emotiva e, suscitando una saturazione percettiva, generare reazioni sostanziali dal punto di vista dell'eccitazione e della valenza.

34Vi è un'ulteriore riflessione interessante riguardo al BC. Sembra avvicinarsi efficacemente a una condizione accettabile di neutralità, poiché – essendo sempre presentato ai partecipanti in ordine casuale, mescolato con le sue alterazioni – è stato in grado di attivare i soggetti in termini di eccitazione significativamente meno rispetto a ciascuno degli altri contesti architettonici. Pertanto, sembrava soddisfare i criteri di controllo, utili per analizzare le diverse risposte emotive dei soggetti alle configurazioni spaziali. Indubbiamente, non si è trattato del paradigma più neutrale in assoluto, ma potremmo considerarlo un punto di riferimento soddisfacente. Potremmo chiederci come possiamo migliorare il nostro elemento di base, ricercando una condizione di neutralità emotiva, ovvero una condizione di assenza di reazione emotiva.


Conclusioni

35Il significato e il valore dell'esperimento condotto non risiedono unicamente nei singoli e parziali risultati ottenuti, ma piuttosto nell'intero processo e approccio. Ciò suggerisce che vi sia una reale opportunità e beneficio nello studiare la percezione atmosferica (come espressione dell'esperienza architettonica tout court ) utilizzando la metodologia scientifica. Il tentativo di adottare un approccio sperimentale rigoroso, anche se non di natura strettamente neuroscientifica (come ipotizzato negli obiettivi teorici) perché supportato da analisi self-report sulle emozioni, integra parzialmente la condizione atmosferica nella sua vulnerabilità linguistica. Esiste, infatti, una discrepanza apparentemente insormontabile tra la possibilità di vivere un'esperienza atmosferica e la capacità di comunicarla e descriverla. In futuro, per sviluppare ulteriormente le conclusioni di questo studio prototipico, noi – architetti e neuroscienziati – dovremmo prendere in considerazione la convalida dei risultati sperimentali raccolti mediante tecniche di neurofisiologia e/o di neuroimaging funzionale.

36Al momento, siamo fermamente convinti che le qualità atmosferiche, esaminate attraverso un approccio sia fenomenografico che sperimentale, possano fornire un contributo fondamentale al processo architettonico, essendo sinergicamente coinvolte nell'attività progettuale insieme agli elementi fisici costitutivi e agli strumenti programmatici. Le atmosfere diventano lo strumento di ricerca fondamentale per comprendere come "sentiamo" l'architettura attraverso le nostre emozioni e per esplorare il significato dell'esperienza dell'essenza architettonica dello spazio costruito.





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Note:

1 L'aggettivo ineffabile è un riferimento alla celebre nozione inventata da Le Corbusier, 'l'espace indicible' (1946).

2 ἀτμός ('vapore') + σφαῑρα ('palla', 'sfera').

3 L'idea fondante di atmosfera architettonica è radicata in molti dei suoi sinonimi ed equivalenti stranieri. Evidenziamo aria , ambiente , spazio vissuto , umore , temperamento , sensazione , sintonia , Stimmung , milieu o varianti più rare come Umwelt (tedesco, letteralmente "ambiente"), in-between e ki (un concetto giapponese che allude letteralmente all'immagine del vapore che si alza dal riso cotto, ma anche figurativamente all'energia vitale di un luogo). Nella nostra ricerca, abbiamo scelto di utilizzare esclusivamente il termine atmosfera .

4 Questo argomento è emerso nel panel intitolato Advances in Measuring Scientific Studies , tenutosi durante la conferenza dell'Academy of Neuroscience for Architecture (ANFA) del 2018. La Jolla, CA: Salk Institute for Biological Studies. 20 settembre 2018. Partecipanti invitati: Zakaria Djebbara, David Kirsh, Upali Nanda e Giovanni Vecchiato. Facilitatore: Eduardo Macagno (Consiglio ANFA).

5 Vale a dire i cosiddetti "generatori di atmosfera" (Böhme, 2001; 2013). Vedi anche il noto flusso di coscienza di Zumthor (Zumthor, 2006).




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sabato 24 maggio 2025

Progettare città per essere (più) umani, di Davide Ruzzon


Progettare città per essere (più) umani:
le neuroscienze ambientali

di Davide Ruzzon



Piazza di Spagna, Roma



Il nostro comportamento è la risultante di tre fattori correlati: la nostra biografia, le relazioni con le altre persone, ed infine l’ambiente nel quale la vita si manifesta
La nostra personalità individuale è una complessa combinazione di quello che ricordiamo, ovvero dei processi che la memoria ha saldato. È l’insieme di tutto ciò che possiamo richiamare alla coscienza, ma anche di quello che non sappiamo di sapere, e che appartiene ad una dimensione implicita, inconscia e alla memoria del corpo biologico. 
Le relazioni con le altre persone, sin dalla nascita, influiscono con grande potere sulla qualità delle nostre esperienze, prima, e dei nostri ricordi, poi. Tutto questo è stato oggetto di numerosi studi e ricerche tra filosofia, psicologia, neuroscienze e letteratura.

Un aspetto che non ha ancora acquisito il rilievo che merita è l’ambiente di vita. Da alcuni decenni, in realtà, molti studi hanno indagato come lo spazio agisca sulla personalità individuale e sulle relazioni sociali. 
Un settore disciplinare ‘rigorosamente indisciplinato’, come direbbe Tim Ingold, si è rafforzato portando alla nascita delle neuroscienze ambientali. Come funzionano i nostri corpi e la nostra psiche nei diversi ambienti? Come l’organizzazione e la forma dello spazio modifica i nostri ricordi e le relazioni umane? Se vogliamo assumere con piena responsabilità politica la tutela della salute fisica e mentale dei cittadini, non possiamo nascondere il fatto che individuo e società sono plasmate dai luoghi.

Sul piano democratico, la consapevolezza di quanto la forma urbana e le sue politiche di gestione influiscano sulle emozioni basiche, le più primitive, come la paura ad esempio, dovrebbe spingerci ad assumere maggiore attenzione sul tema. Oggi, in una dimensione sociale sempre più disintermediata, dove i singoli vengono uniti e polarizzati, in opposizioni rigide, le emozioni evocate dallo spazio urbano sono ancor più importanti. I luoghi possono salvarci oppure condannarci ad un esilio da noi stessi. La differenza risiede nelle emozioni, o nelle memorie del corpo.

Proprio per essere ancora in grande parte sedimentate nel genoma, è cruciale il ruolo che le emozioni corporee possono svolgere nel far riemergere una richiesta di realtà, di relazioni e di senso. A queste richieste la città fatica moltissimo a dare spazio e forma. 

Questa giovanissima creatura che è la città, rapidamente, in pochi millenni è diventata sempre più astratta rispetto alla vita umana. Se non comprendiamo questo aspetto iniziamo l’esplorazione ad occhi bendati. Ciò che sta accadendo non può essere compreso se non estendendo la storia umana e della città al cambiamento che segna l’inizio della dimensione artificiale dell’uomo, cioè la liberazione delle sue mani: l’Homo Erectus. 
Una visione della città rigorosamente indisciplinata richiede che antropologia e neuroscienze siano parte delle competenze di architetti e planner. La città occupa un frammento temporale di un’evoluzione durata un milione e mezzo d’anni, a spanne, nel corso del quale i luoghi entro cui i patterns fondamentali di interazione corpo-spazio sono stati raffinati, e poi tradotti nel nostro genoma, erano immersi nella natura. Piccoli nuclei ospitanti azioni elementari si sono poi aggregati a formare edifici. Con il passaggio dai villaggi neolitici alle città-stato sono state introdotte le prime manipolazioni delle emozioni stratificate nella natura. Una pianificazione unitaria a macro e micro scala si è fatta vedere sin dall’inizio della storia della città. Ippodamo da Mileto cinque secoli prima di Cristo, aveva già realizzato uno spazio saldo e unitario. 
La città rimane frattale tuttavia per lunghissimo tempo. Resta frattale perché sono prevalenti i piccoli nuclei – gli edifici – che ancora riescono ad ospitare la traduzione dei pattern corpo-spazio originati nella natura
Questa resistenza verrà – quasi – completamente annichilita con lo sviluppo delle grandi conurbazioni nate dalla Rivoluzione Industriale. In due secoli, da allora, altri grandi cambiamenti hanno esaltato l’astrazione della forma degli edifici dal corpo umano, e dalle sue memorie. È una ferita aperta: il corpo ricorda quello che ha imparato in un milione e mezzo di anni, e cerca comunque casa. Ma non la trova, eccetto frammenti di luoghi ed apparizioni.

Nessuna illusione di ricostruire l’infranto deve accompagnare oggi la nostra ricerca dei processi in grado di tutelare la salute degli abitanti delle città. L’esistente è un aggregato discontinuo. Le città hanno qualità molto diverse al proprio interno e dovremo fare uno sforzo per riconoscere qualità vecchie e qualità nuove, distinguendo anche tra quello che può sembrare solo un omogeneo e neutro tessuto moderno, o contemporaneo.

È necessario inserire tra le linee guida del progetto urbano anche quelle riferite ai fattori che mitigano o esaltano i rischi per la salute psico-fisiologica dei cittadini. Il disegno della città può aumentare o diminuire i danni, infatti, ma non può fare il miracolo di cancellarli.

La consapevolezza offerta dallo studio delle neuroscienze e della psicologia ambientale applicato allo studio della città è di grande aiuto per lavorare sulla riduzione del rischio di produrre danni severi, anche irreversibili, al cervello delle persone e alle relazioni sociali. Creare delle linee guida per mettere a sistema i fattori di protezione della mente è oggi possibile quanto necessario.

Sono tre le aree d’intervento del masterplanning che ci vengono in aiuto: la dimensione estesa del planning, la cura dello spazio vuoto, ed infine la cura degli edifici. Le tre aree di intervento possono offrire un quadro esaustivo dei fattori di mitigazione del rischio per gli abitanti. Se calibrati con precisione questi fattori possono dare un ottimo contributo.

La tutela del benessere mentale non può prescindere dagli effetti neurologici e psicologici indotti dalla combinazione di quattro dimensioni proprie della pianificazione urbana: 
l’inclusione delle diversità, 
la presenza dei servizi ai cittadini, 
una rete per aumentare la sostenibilità sociale ed ambientale dei trasporti, 
e la presenza di diverse funzioni ed attività integrate nello spazio
La misurazione di questi fattori permette di avere la misura del livello della cura che la città offre a un quartiere. L’inclusione sociale, il senso di appartenenza, di sicurezza, l’impatto sulla salute fisica e cerebrale, la propensione sociale allo scambio, sono tutti prodotti di una buona integrazione di queste quattro dimensioni.

La seconda famiglia di fattori di protezione si concentra sulla qualità dello spazio aperto. 
Grande rilievo assume, infatti, la capacità dei vuoti di radicare i diversi gruppi di cittadini, tenendo conto proprio delle diversità individuali (età, genere, sensoriali, motorie, mentali) e delle attività di ognuno. Una concezione dei vuoti come sistema di stanze aperte, delimitate con tratti invisibili permette di innescare una moltitudine di interazioni riferite alla memoria corporea. La gestione della presenza della vegetazione, e dell’acqua, si unisce a questo primo fattore. Due altri fattori concorrono a generare una nuova attenzione al disegno del suolo tra gli edifici. Si tratta delle soglie tra privato e pubblico e della cura della dimensione tattile, ovvero dei materiali da utilizzare per piazze, parchi, marciapiedi, piste ciclabili, carreggiate, portici, giardini. La cura integrata di questi cinque fattori incide sull’appartenenza al luogo, su aspetti neuro-biologici indotti dallo stress, sulla memoria e l’orientamento naturale, sulla dimensione pro-sociale, e sul senso di sicurezza.

La terza famiglia dei fattori protettivi deve essere definita con riferimento al disegno degli edifici. 
Il disegno urbano può definire alcune delle caratteristiche dei volumi che poi saranno sviluppati attraverso gli altri livelli della progettazione. E’ indispensabile che questi caratteri vengano già studiati a scala urbana per evitare di creare un collage insignificante in grado di privare gli abitanti di punti di riferimento essenziali nell’esperienza della città. Attraverso una traduzione innovativa della storia urbana locale, il piano può favorire il senso di radicamento e il bisogno innato di novità, può facilitare l’orientamento nello spazio e tutelare il funzionamento neurobiologico della memoria.

Grazie alle ricerche sviluppate negli ultimi trent’anni, una solida letteratura scientifica connette i fattori protettivi citati alle quattro dimensioni del comportamento umano: neurobiologica, psicologica, sociale e fisica. Il masterplan non può più rinunciare ad utilizzare questo bagaglio conoscitivo nella rigenerazione e nello sviluppo urbano. 
Il ruolo della pianificazione e del progetto urbano devono tornare ad essere centrali nel dibattito economico, sociale e politico proprio perché la cura della salute fisica e mentale dei cittadini è l’asset più importante e strategico di un paese democratico, e che vuole rimanere tale.




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Per approfondimenti: TUNING ARCH  www.tuning-arch.com  arco di sintonia: neuroscienze e psicologia ambientale applicate alla progettazione urbana e architettonica, sintonizzare l'architettura agli esseri umani, a cura di Davide Ruzzon

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