venerdì 11 luglio 2025

LUIGI PICCINATO: Dal razionalismo all’organicismo, di Sandra Sangermano


Luigi Piccinato, 1899-1983. L’impegno civile tra teoria e prassi: architettura, città, territorio

di Sandra Sangermano

LUIGI PICCINATO: Dal razionalismo all’organicismo


L’avvento del secondo conflitto mondiale provoca un rallentamento forzato all’attività accademica e scientifica di Luigi Piccinato, ma durante questa pausa l’urbanista coglie l’occasione per mettere a sistema i suoi studi sulla città medievale e pubblica nel 1943 Urbanistica medievale46. 
L’interesse di Piccinato per la storia dell’urbanistica medievale affonda le radici nelle riflessioni in merito di Camillo Sitte e a partire dagli anni ’30 diventa una tematica su cui l’urbanista concentra le sue riflessioni e su cui pubblica diversi scritti: nel 1931 La città medioevale47, nel 1933 Medioevo48, nel 1937 Per una tipologia delle città medioevali italiane49, nel 1941 Origine dello schema urbano circolare nel Medioevo50 fino al libro del 1978 Urbanistica medievale che sintetizza tutte le sue riflessioni sul tema. 
Lo studio sistematico di Piccinato sull’urbanistica medievale rappresenta sicuramente il primo tentativo di codificazione delle forme e dei contenuti per quella particolare epoca storica e colma il vuoto presente in tutti i testi che affrontano la storia dell’urbanistica italiana. Come chiarisce l’urbanista nella prima pagina del testo del 1978, tutti gli storici hanno affrontato la trattazione storica dell’urbanistica partendo dal Rinascimento: 

“[…] comincia insomma proprio con l’epoca nella quale le città non si creavano quasi più, ma invece se ne inventavano piante fantastiche sulla carta e se ne costruivano teorie. [...]. Ma le città invece erano state già create: il primo e più faticoso cammino della creazione urbana era stato compiuto; e già aveva saldo corpo l’organismo della vita cittadina, già la struttura delle città possedeva una forma, già erano precisati schemi, esperienze, ordinamenti… Ed è il complesso corpo di queste istituzioni medioevali che, mancando di quella copiosissima messe di documentazione grafica che forma invece la ricchezza dell’urbanistica del Rinascimento, sfugge oggi grandemente all’indagine nostra”51. 

 Nel breve saggio Piccinato sembra sottolineare la sintesi e l’unità compositiva di tutte le componenti della città prodotta nell’epoca medievale. A Piccinato sembra necessario studiare l’architettura e l’urbanistica di quell’epoca considerata buia ma che a suo parere ha molto da insegnare; studiarla e analizzarla ci permetterebbe di rintracciare le radici dell’arte e dell’architettura italiana. La città medievale, nella visione dell’urbanista, diventa un’espressione unitaria della società, della politica, della forma urbana e dell’arte: 

“[…] componendo proprio quella armonia di valori pratici e estetici che noi chiamiamo oggi con la parola urbanistica”.52 

 Così Piccinato per andare a fondo e per cogliere tutti gli aspetti della composizione urbana medievale visita, cammina e legge la letteratura locale dei centri medievali che più gli sembrano esprimere l’armonia urbana del tempo53. Descrive i centri più noti e le forme urbane spontanee meno conosciute, ricostruisce la genesi della loro formazione al fine di stilare una classificazione dei tipi edilizi (ne definisce sette) per studiare la loro evoluzione. A tal punto potrebbe nascere spontanea la domanda: perché studiare l’urbanistica medievale in un particolare momento storico caratterizzato dalla distruzione delle città? Perché non elaborare nuovi modelli urbani per la ricostruzione? 
Ebbene per Piccinato è necessario conoscere le radici, la storia e le dinamiche economico-sociali che hanno contribuito alla determinazione delle forme urbane delle nostre città per poterne programmare lo sviluppo, e le città medievali offrono l’opportunità di indagare e comprendere la struttura base delle città contemporanee; quindi la conoscenza dell’arte della composizione urbana medievale come "conditio sine qua non" per pianificare, programmare e organizzare lo sviluppo sociale. 
Nel 1943 Piccinato pubblica Urbanistica. Compendio di tecnica urbanistica e di urbanistica generale, lezioni tenute alla Reale università di Napoli e nel 1947 Urbanistica; il primo è una dispensa universitaria che già ha la fisionomia di un prontuario, il secondo un vero e proprio manuale. È evidente la necessità dell’autore di riorganizzare le sue teorie e di fornire agli studiosi non un modello ma un approccio metodologico, esigenza che avverte proprio all’indomani del conflitto quando lo scenario in ambito accademico e politico è notevolmente mutato: Giovannoni è appena scomparso, la posizione egemonica di Calza Bini è in via di declino e la centralità di Piacentini lascia il posto ad una lenta epurazione. Piccinato, dunque, domina la scena. I primi anni del dopoguerra sono caratterizzati dall’esigenza di chi, come Piccinato, aveva svolto un ruolo importante negli anni del fascismo pur non condividendone il sentimento politico. Si profila all’orizzonte una radicale riorganizzazione del fronte dell’architettura moderna italiana, recuperando le principali personalità del filone dell’architettura razionale collegando quest’ultimo con le esperienze più innovative. 
In una situazione politica connotata da grandi mutamenti a  Piccinato si affianca Bruno Zevi - appena ritornato in Italia - ed insieme programmano la riorganizzazione del fronte dell’architettura moderna italiana. Le intenzioni dei due architetti confluiscono nella creazione dell’Associazione per l’Architettura Organica (APAO) - fondata con il sostegno di Mario Ridolfi, Pier Luigi Nervi e Aldo Della Rocca - le cui attività si focalizzano sul tentativo di creare un legame, spezzato a causa della dittatura, con le esperienze internazionali e democratiche. 

(ndr. dalla nota 55 - Nell'APAO tra i soci ritroviamo nomi prestigiosi: Franco Albini, Giovanni Astengo, Carlo Aymonino, Ludovico Barbiano di Belgiojoso, Melchiorre Bega, Leonardo Benevolo, Piero Bottoni, Roberto Calandra, Giuseppe Campos Venuti, Edoardo Caracciolo, Enrico Censon, Giancarlo De Carlo, Edoardo Detti, Luigi Figini, Ignazio Gardella, Gino Levi-Montalcino, Adalberto Libera, Vico Magistretti, Giovanni Michelucci, Giusta Nico Fasola, Giuseppe Perugini, Gino Pollini, Ludovico Quaroni, Nello Renacco, Leonardo Ricci, Ernesto Nathan Rogers, Giuseppe Samonà, Carlo Scarpa, Ettore Sottsass senior e junior e Marco Zanuso. Tra i membri onorari dell’associazione figurano Alvar Aalto e Frank Lloyd Wright.).

Alla base dell’ideologia dell’associazione vi è la definizione dell’architettura organica che acquisisce le posizioni di Alvar Aalto e di Frank Lloyd Wrigth partendo dal razionalismo di Gropius, di Le Corbusier e di Mies van der Rohe; l’aggettivo organico è nuovo ed utile al tempo stesso sia per cancellare le implicazioni fasciste sia per collegarsi alle esperienze che si stavano sperimentando negli Stati Uniti. 
Il legame viene così rintracciato da Zevi e da Piccinato nel funzionalismo come genesi dell’architettura organica54. Sebbene l’associazione conti circa 240 iscritti55 presto si preannunciano all’orizzonte grandi polemiche da molti, tra cui vecchi razionalisti, che ritennero forzato il tentativo di collegare le due tendenze, il razionalismo funzionale e l’organicismo56. 
Tra gli obiettivi principali dell’associazione vi è quello della formazione di una nuova classe di architetti, a cui si affiancano altre attività come l’aggiornamento del quadro legislativo in materia, la pubblicistica del movimento e l’organizzazione di convegni e di congressi. 
Per raggiungere tali scopi all’associazione si affianca la Scuola di architettura organica fondata ufficialmente il 18 marzo del 1946, anche se le attività didattiche sono già state attivate l’anno precedente, con sede a Palazzo del Drago; i corsi sono quattro: Urbanistica tenuto da Piccinato, Architettura tenuto da Ridolfi, Materie Professionali tenuto da Della Rocca e Costruzioni tenuto da Nervi. I corsi si svolgono nel pomeriggio e sono destinati agli studenti che, chiamati a prestare il servizio militare, avevano interrotto gli studi, al fine di formare una nuova categoria professionale preparata ad operare per la ricostruzione del Paese. L’indirizzo didattico propone un modello rivoluzionario in contrapposizione all’accademismo della Facoltà di architettura di Roma - nella quale continuavano ad insegnare gli allievi di Giovannoni e Piacentini – fondato sulla concezione di costruire una scuola professionale e non di arte nella quale appariva necessario associare alle materie tecniche e scientifiche gli studi di economia e di sociologia. 
Tutte le attività promosse dall’APAO si svolgono in un clima d’intensa operosità e impegno politico attraverso numerosi convegni svolti nel Circolo dell’Associazione a cui partecipano nomi noti: Giulio Carlo Argan, Enrico Tedeschi e Cesare Musatti57. Nel novembre del 1947 l’associazione partecipa anche alla competizione elettorale del Comune di Roma candidando Ridolfi, Zevi e Vallecchi nella lista “Blocco del popolo”. 
L’organo divulgativo ed amplificatore per eccellenza delle battaglie e dei dibattiti promossi dall’APAO è Metron; la rivista viene fondata nel 1945 per volontà dello stesso Zevi, nonché di Piccinato, Ridolfi e Nervi. La direzione è affidata inizialmente solo a Piccinato e a Ridolfi, con Margherita Roesler Franz alla segreteria di redazione; il consiglio direttivo è formato da Piero Bottoni, Cino Calcaprina, Luigi Figini, Eugenio Gentili, Enrico Peressutti, Silvio Radiconcini e Enrico Tedeschi, oltre ai due direttori. Per l’ingresso ufficiale di Zevi nella direzione si deve attendere la pubblicazione del numero 25 del 1948, numero che vede l’ingresso anche di Giovanni Astengo e una composizione nuova della redazione58. Sul numero 2 della rivista viene pubblicato il testo La costituzione dell’Associazione per l’Architettura Organica a Roma59 , una vera dichiarazione di intenti cui mira l’iniziativa; l’APAO è definita come: 

“[…] una libera associazione di lavoro e di studio […]. Roma ha finalmente un’associazione libera di architetti moderni che svolge quelle attività di studi, di aggiornamento, di specializzazione e quelle attività sindacali che sono necessarie alla ricostruzione”60. 

Nel testo è chiarita l’origine dell’architettura organica rintracciata nella corrente del funzionalismo ed è definito il campo nel quale essa opera - il campo sociale e spirituale - inoltre si delinea con decisione la separazione tra quest’architettura e quella monumentale e viene dichiarata la difesa di qualsiasi libertà espressiva architettonica. Il testo prosegue con l’elencazione di tre principi generali indispensabili per il verificarsi di una vera architettura organica e che marcano la netta distanza da qualsiasi spirito nazionalista: la libertà politica, la libertà di associazione e di stampa ed infine le libertà sociali. 
L’associazione riesce in breve tempo a costruire una rete nazionale con sedi distaccate a Venezia, Torino, Genova, Napoli e Palermo; in contemporanea su Metron sono pubblicati saggi che allargano il raggio d’azione della disciplina, interessandosi di economia urbanistica, di pianificazione nella disciplina giuridica, di riforma dell’insegnamento dell’architettura e della necessità di un ministero dell’urbanistica, o ancora del tema della ricostruzione in Italia e all’estero (in Francia e in Inghilterra); si toccano tematiche legate non solo alla pianificazione ma che indagano gli aspetti tecnologici, dimensionali, compositivi e costruttivi dell’architettura residenziale fino alle questioni del restauro dei monumenti. 
Dopo un anno di lavoro la redazione pubblica nel numero 13 il saggio La nostra cultura e Metron61, in cui viene fatto un bilancio del lavoro svolto all’indomani della liberazione in cui sembrava necessario la riorganizzazione del fronte della cultura architettonica e urbanistica in contrasto alla miseria morale del periodo; sono messi in luce gli obiettivi raggiunti ma anche quelli falliti: 

“non una parola nuova in tema di storia dell’architettura e di critica architettonica”62. 

Colmare questo vuoto diventa l’obiettivo principale del successivo percorso di Metron, espletato nella rivalutazione di alcune riflessioni appartenenti ai protagonisti del passato in un quadro aggiornato delle esperienze contemporanee. Riguardo alle polemiche sorte a seguito della dichiarazione delle radici dell’APAO nel funzionalismo, Zevi assume il ruolo di difensore e nel numero 35-36 del 1949 sottolinea come: 

“Alcuni amici, per fedeltà alla battaglia combattuta nel periodo precedente, ci rimproveravano di aver dato risonanza ad un nuovo nome, e temevano che si confondessero i propositi e si provocasse una scissione nel campo dell’architettura moderna. Ormai questi stessi amici si sono, se non convinti, placati: gli architetti organici hanno mostrato coi fatti la loro fedeltà alla tradizione razionalista. Altri amici ci rimproveravano di aggettivare l’architettura: ormai anch’essi si sono convinti che noi aggettiviamo una poetica, com’è conveniente, non l’arte. I più ci hanno domandato per anni, non senza qualche accenno ironico: dov’è questa architettura organica? Se volete, possiamo rispondere: i dormitori di Aalto, lo chalet di Sabaudia, l’ospedale del’I.N.A.I.L., la palazzina a via Monte Parioli, l’edificio di abitazione vicino Roma”63 . 

In effetti la compagine dell’APAO nel corso dei primi anni ha saputo aumentare il volume dei sostenitori con una serrata attività pubblicistica, e anche la sezione del MSA64 di Milano, pur mantenendo la propria autonomia, partecipa alla riorganizzazione della cultura moderna al fianco dell’APAO e utilizza la rivista come piattaforma di studio e di aggiornamento. 
In questa lotta organica per l’architettura moderna l’APAO pone al centro la pianificazione, in modo da favorire l’incontro di due filoni dell’ideologia organica: l’architettura di Bruno Zevi e l’urbanistica di Luigi Piccinato. 
Si è detto, in alcuni casi, che la concezione organica dell’urbanistica di Piccinato, intesa come sviluppo evolutivo dell’organismo-città guidato e programmato dal piano aperto, sia nata in seguito all’incontro con Bruno Zevi. Oggi, alla luce dello studio filologico degli scritti, dei pani urbanistici e dei progetti di architettura di Piccinato è possibile affermare che la fondazione dell’APAO ha costituito l’incontro e il riconoscimento di una comune concezione d’intendere il mestiere e i compiti dell’architetto. 
Questa dichiarazione trova una facile validazione nella lettura critica dei primi piani dell’urbanista e nelle pubblicazioni più importanti: da Padova a Napoli Piccinato applica la sua visione estesa della pianificazione, dal piano aperto che si pone come struttura flessibile per futuri scenari e ampliamenti della città al piano regionale pensato come indirizzo di sviluppo e anello di connessione economica, dal testo Urbanistica. Compendio di tecnica urbanistica e di urbanistica generale, fino agli scritti sull’urbanistica medievale, che rappresentano il “prologo al concetto di urbanistica organica”65. 
Con gli inizi degli anni ’50 si assiste ad un fervore economico che ha origine nel Piano Marshall; in Italia si vive il cosiddetto miracolo economico che muta gli scenari: la pianificazione non è più al centro delle politiche di sviluppo, e il settore su cui si investe è l’industria - soprattutto siderurgica - e l’edilizia conosce un boom senza precedenti. L’APAO incassa un insuccesso, la riforma dell’insegnamento non è stata presa in considerazione e questo influenza la programmazione delle future mosse dell’associazione, tanto che prima della fine degli anni ’60 la struttura si sgretola. 
Non vi è alcun dubbio sulla portata innovatrice delle attività promosse dall’APAO, che ha compattato la compagine dell’architettura moderna e ha aperto dibattiti che poi hanno influenzato l’architettura e l’urbanistica italiana degli anni ’60 - pensiamo ad esempio all’aspetto economico della pianificazione e ai piani regionali che vedono nell’associazione e in Piccinato dei grandi sostenitori - dichiarando “la fine del rettangolismo”66 e promuovendo “la centralità dell’uomo e le sue gioie in urbanistica”67 ed infine costruendo una “coscienza spaziale”68 in architettura. 
Dal 1955 in poi si apre, dunque, una nuova stagione culturale e si rinnovano i mezzi di discussione: nel 1948 Gio Ponti riporta in auge Domus, Zevi nel 1953 fonda L’architettura. Cronache e storia, Ernesto Nathan Rogers dirige Casabella-Continuità, nel 1956 viene fondato l’Istituto nazionale di architettura e tali riviste insieme all’Istituto nazionale di urbanistica svolgono un ruolo principale nel dibattito disciplinare. 
Per l’APAO e per Metron s’intravede il tramonto. La partecipazione attiva di Piccinato alle vicende dell’APAO rappresenta un punto fermo nel suo orientamento scientifico e non è corretto, o meglio non sarebbe corretto, parlare di svolta organica contrapposta alla posizione razionale assunta all’inizio dell’attività professionale; questo viene chiarito nel momento in cui Zevi e Piccinato rintracciano la genesi del movimento nel funzionalismo e nell’ideologia razionale internazionale. 
Se si vuole ravvisare il lascito più significativo di Piccinato all’urbanistica contemporanea si può sicuramente pensare all’approccio multidisciplinare dei suoi lavori e dei suoi scritti; nel mondo dell’accademia di oggi, in cui si va sempre più verso una specializzazione settoriale delle discipline, spesso causa di un sapere parziale, la rilettura dell’opera dell’urbanista veneto può contribuire ad un ripensamento in tal senso. La sua prassi, infatti, è connotata da una visione ampia in cui le questioni urbanistiche, i temi d’architettura e gli aspetti legislativi sono affrontati facendo interagire tutti gli aspetti - sociale, economico, paesaggistico, urbano, infrastrutturale e occupazionale - confrontando le soluzioni con l’eredità storica
Questa caratteristica di Piccinato è dovuta non solo ad una inclinazione personale, ma anche alla fortunata formazione e ad una serie d’importanti esperienze professionali, che più di altre, gli hanno permesso di sperimentare il suo metodo a più livelli: al fianco delle istituzioni, nell’insegnamento e nell’attività professionale. L’esperienza condotta in Argentina dal 1947 al 1952. Ha contribuito in maniera netta ad ampliare il campo di applicazione dell’urbanistica di Piccinato69. Nel 1947 Jorge Vivanco chiama Ernesto Rogers, Cino Calcaprina, Luigi Piccinato, Enrico Tedeschi e Guido Oberti per partecipare alla fondazione della nuova scuola di architettura di Tucuman, l’Instituto de Arquitectura y Urbanismo, in linea con la riorganizzazione complessiva degli studi avviata dal rettore dell’Università nazionale di Tucumàn, Horacio Descole. Quest’ultimo voleva arricchire la struttura dei docenti con numerose personalità straniere per assicurare al centro universitario un prestigioso livello di ricerca. Il motto del nuovo istituto diretto da Vivanco diventa “ricercare, progettare e costruire”70, con il quale si da inizio ad una delle esperienze didattiche più radicali dell’insegnamento dell’architettura e dell’urbanistica in America Latina e che si realizza con la costruzione della Città universitaria, a cui partecipano attivamente gli studenti. 
Piccinato si trova a svolgere il suo mestiere sia come professore presso gli istituti di Tucumàn e di Buenos Aires sia come progettista del piano regolatore generale di Buenos Aires e di Ezeiza; questo duplice ruolo non è nuovo all’urbanista, in effetti nel contesto italiano abbiamo visto che il suo nome dominava la scena, ma la novità che gli regala l’esperienza argentina risiede nella sostanziale differenza della composizione sociale, della struttura urbana e soprattutto nell’impostazione didattica dell’Instituto che pone al centro degli studi di architettura e di urbanistica la pedagogia. 
Questa esperienza fortifica la convinzione di Piccinato che alla base della pianificazione vi sia l’uomo, che il piano è un regalo per lo società e assicura un alto grado di libertà ed infine che i risultati dell’urbanistica si misurano con un solo metro: l’aderenza tra società e piano
Tornato in Italia, Piccinato è chiamato da Giuseppe Samonà ad insegnare allo IUAV: c’è qualche assonanza tra l’indirizzo dell’istituto di Vivanco e l’operazione condotto da Samonà a Venezia: Piccinato la fiuta e accetta la proposta. L’Argentina gli aveva regalato “un anno di libertà e di chiarezza”71 e da qui si apre una nuova fase di sintesi dell’attività dell’urbanista, nella quale le idee degli anni Trenta, ossia il piano aperto e l’organismo città vivono in una sintesi nuova dell’urbanistica, spaziando dalla storia urbana alla storia culturale della città. 
Dal 1950 in poi, anno in cui vince la cattedra di Urbanistica, il percorso di Piccinato si arricchisce di nuove esperienze e riconoscimenti sempre più prestigiosi: la vicepresidenza dell’Inu, il premio Olivetti per l’urbanistica, la medaglia d’oro al merito della cultura, il premio nazionale InARCH per la ricerca scientifica e tecnologica, la vicepresidenza della commissione sui centri storici urbani della FIHUAT, la nomina di professore di urbanistica presso la Facoltà di Roma, l’impegno in qualità di relatore a convegni internazionale – Zurigo, Lisbona, Istanbul, Rio de Janeiro, Berlino, Mendoza, Dublino, Barcellona, Belgrado, Liverpool, Edimburgo, Atene – il premio Feltrinelli. È invitato a partecipare a concorsi su invito – Berlino (1958) e Skopije (1965) – e con i suoi piani influenza l’urbanistica dei nuovi centri in Algeria e in Turchia. 
In Italia è sempre in prima linea per l’elaborazione di piani regolatori delle città e per la progettazione di nuovi quartieri, si concentra sulla pianificazione regionale e nell’impegno politico per una revisione della disciplina legislativa. Sicuramente la personalità di Luigi Piccinato sfugge a qualsiasi tentativo semplificato di determinismo storico; pur avendo partecipato agli eventi urbanistici promossi dal regime, l’urbanista ha mantenuto le sue convinzioni politiche, sapendo sfruttare tutte le occasioni, e ha radicato il suo metodo urbanistico nella conoscenza della storia attualizzando gli insegnamenti dei suoi maestri con le influenze moderne come quelle delle riviste Moderne Bauformern e Der Städtebau. 
 Difensore del primato dell’urbanistica, Piccinato non rinuncia mai alla definizione dello spazio architettonico, studia tutti i fenomeni della città e coglie i fattori emotivi e culturali. Attento al dettaglio, senza tralasciare la visione globale, disegna centinaia di piani in cui l’uomo rappresenta la struttura portante; intellettuale e pragmatico, ha insegnato urbanistica lavorando ai piani, per i quali si è battuto e scontrato con le amministrazioni. I suoi numerosi interventi e scritti testimoniano la grande capacità di comunicazione di Piccinato e ci lasciano un proficuo mezzo per riconsiderare la sua carriera e per attualizzare i suoi insegnamenti.




Note:
45 Sergio Stenti, Colloquio con Luigi Piccinato, in Aura, n. 1-2, 1983, pp. 81-89, qui p. 82. 
46 Luigi Piccinato, “Urbanistica medievale”, in AA.VV., L’urbanistica dall’antichità ad oggi, Sansoni, Firenze, 1943, pp. 61-89, ora Urbanistica medievale, Dedalo, Bari, 1978. 
47 Luigi Piccinato, La città medioevale, nella voce “Città”, in Enciclopedia Italiana, Roma, 1931, vol. X, pp. 486-489, ora in Luigi Piccinato, Scritti vari, cit., con il titolo “la città: Medioevo e Rinascimento, vol. II, pp. 439-466 
48 Luigi Piccinato, Medioevo, nella voce “Giardino”, in Enciclopedia Italiana, Roma, 1933, vol. XVII, pp. 69-72, ora in Luigi Piccinato, Scritti vari, cit., vol. II, pp. 553-564. 
49 Luigi Piccinato, Per una tipologia delle città medioevali italiane, in Atti del II Convegno nazionale di storia dell’architettura, Assisi, 1937, ora in Luigi Piccinato, Scritti vari, cit., vol. II, pp. 569-572 
50 Luigi Piccinato, Origine dello schema urbano circolare nel Medioevo, in Palladio, n.3, 1941, pp.120-125, ora in Luigi Piccinato, Scritti vari, cit., vol. II, pp. 709-716. 
51 Luigi Piccinato, Urbanistica medievale, op. cit., p. 5. 
52 Ivi, p. 6. 
53 Stefania Piccinato Puccini, figlia dell’urbanista, in un colloquio intrattenuto con chi scrive ha raccontato della passione con cui Piccinato ha studiato i centri medievali italiani. Durante i weekend, libero dagli impegni professionali, coglieva l’occasione per vistare le città con la sua famiglia; amava mangiare i prodotti tipici, leggeva i quotidiani locali, visitava i piccoli musei e s’intratteneva a lungo sul posto per riprodurre graficamente gli scorci urbani e le tipologie edilizie locali. 
54 Si veda Roberto Dulio, Introduzione a Bruno Zevi, Laterza, Roma-Bari, 2008. 
55A Roma gli iscritti sono circa 83 ma in tutta Italia il numero sale e tra i soci (ndr all'APAO) ritroviamo nomi prestigiosi: Franco Albini, Giovanni Astengo, Carlo Aymonino, Ludovico Barbiano di Belgiojoso, Melchiorre Bega, Leonardo Benevolo, Piero Bottoni, Roberto Calandra, Giuseppe Campos Venuti, Edoardo Caracciolo, Enrico Censon, Giancarlo De Carlo, Edoardo Detti, Luigi Figini, Ignazio Gardella, Gino Levi-Montalcino, Adalberto Libera, Vico Magistretti, Giovanni Michelucci, Giusta Nico Fasola, Giuseppe Perugini, Gino Pollini, Ludovico Quaroni, Nello Renacco, Leonardo Ricci, Ernesto Nathan Rogers, Giuseppe Samonà, Carlo Scarpa, Ettore Sottsass senior e junior e Marco Zanuso. . Tra i membri onorari dell’associazione figurano Alvar Aalto e Frank Lloyd Wright. 
56 Diversi sono i pareri contro il legame predicato dall’APAO, si ricorda il testo di Piero Bargellini nel 1946 Libello contro l’architettura organica, Vallecchi, Firenze; l’intervento di Carlo Cocchia che mette in discussione le tesi di Frank Lloyd Wright su «Il Mattino» di Napoli del 18 luglio del 1946; la critica di Marcello Gioviale sul libro di Bruno Zevi, Verso un’architettura organica, mettendo in discussione il legame tra il razionalismo e l’architettura organica nella lettera Scomposizione e reintegrazione, ovvero razionalismo e architettura organica, in «Metron», n. 47, 1952. Per uno sguardo sintetico ma chiaro dello scenario politico-culturale in cui si svolge l’azione dell’APAO si veda Alessandra Muntoni, “APAO”, in Marco Biraghi, Alberto Ferlenga, (a cura di), L’architettura del Novecento. Teorie, scuole, eventi, vol. I, Einaudi, Torino, 2012, pp. 31-37. 
57 Il movimento affonda le sue radici in uno spirito fortemente rivoluzionario non solo in campo architettonico ma anche in campo politico. Ricordiamo che Bruno Zevi aveva svolto un ruolo importante nella lotta antifascista come componente del movimento Giustizia e Libertà, riorganizzò il ramo del movimento a New York con la direzione di «Quaderni italiani» con a fianco Lionello Venturi, Veniero Spinelli, Franco Modigliani, Aldo Garosci e Gaetano Salvemini e in Inghilterra fondò la radio clandestina del movimento. Tornato in Italia, nel 1944, espleta la sua azione politica nel Partito d’Azione che determina l’inclinazione politica dell’APAO. A tal riguardo si veda Bruno Zevi, Zevi su Zevi: architettura come profezia, Marsilio, Venezia, 1993; Storia e controstoria dell’architettura in Italia, Newton Compton, Roma, 1997. 
58 Dal numero 26-26 il segretario di redazione è Ciprina Scelba, alla quale si affinca dal numero 28 Enrico Censon, dal numero 39 Elena Almagrà e dal numero 33-34 Biancamaria Braghiera. 
59 APAO, La costituzione dell’Associazione per l’Architettura Organica a Roma, in «Metron», n. 2, sett. 1945, pp. 75-76. 
60 Ivi, p. 75. 
61 Direzione, La nostra cultura e Metron, in «Metron», n. 13, pp. 7-11. 
62 Ivi, p. 10. 
63 Bruno Zevi, Realtà dell’architettura organica, in «Metron», n. 35-36, 1949, pp. 14-17, qui p. 15. 
64 Il Movimento degli Studi di architettura Milano, costituito nell’aprile del 1945, con Franco Albini presidente, si pone di affrontare il tema della ricostruzione in difesa dei principi del razionalismo, assumendo il ruolo di polo catalizzatore dell’ideologia razionalista. L’obiettivo principale del movimento riguarda la costruzione di un comune orientamento nel modo di intendere l’architettura e di far fronte alla difficile situazione economica e sociale del periodo. Si veda Matilde Baffa, Corinna Morandi, Sara Protasoni, Augusto Rossari, (a cura di), Movimento di studi per l’architettura 1945-1961, Laterza, Roma-Bari, 1995; Cettina Lenza, “Il nodo della tradizione”, in Anna Giannetti, Luca Molinari, (a cura di), Continuità e crisi. Ernesto Nathan Rogers e la cultura architettonica italiana del secondo dopoguerra, Alinea, Firenze, 2010, pp. 1-22. 
65 Guido Zucconi, Una figura di architetto-urbanista tra continuità e discontinuità, in Gemma Belli, Andrea Maglio, (a cura di), Luigi Piccinato (1899-1983). Architetto e urbanista, Aracne, Roma, in corso di stampa. 
66 Bruno Zevi, Realtà dell’architettura organica, op. cit. 
67 Ibidem. 
 68 Ibidem.
69 Per un’approfondita lettura dell’esperienza di Piccinato condotta in Argentina si consiglia il saggio di Sergio Zevi, in Gemma Belli, Andrea Maglio, (a cura di), op. cit.; Id., “Attualità del pensiero di Luigi Piccinato. Una riflessione sui materiali dell’Archivio Luigi Piccinato”, in Serena Baiani, Vincenzo Cristallo, Saverio Santangelo, (a cura di), Lectures 3. Design, pianificazione, tecnologia dell’architettura, Designpress, Roma, 2014 (in corso di stampa), pp. 132-209. Molte delle informazioni di seguito riportate sono state acquisite dai testi citati. 
70 Plan de estudios para la carrera di arquitectos en la Universidad Nacional de Tucuman, resolucion n. 31-130-947, 22 gennaio del 1947, Archivio generale dell’Università Nazionale di Tucuman; documento ripreso da Sergio Zevi, “Attualità del pensiero di Luigi Piccinato. Una riflessione sui materiali dell’Archivio Luigi Piccinato”, cit. 
71 Luigi Piccinato, Lettera a Giuseppe Samonà da Buenos Aires, datata 19 dicembre 1950, Archivio IUAV. 



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Fonte: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II - DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA - DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA DELL’ARCHITETTURA, DELLA CITTÀ E DEL PAESAGGIO, XXVII° ciclo, Coordinatore: Prof. Leonardo Di Mauro, Titolo della Tesi: Luigi Piccinato, 1899-1983. L’impegno civile tra teoria e prassi: architettura, città, territorio. Coordinatore: Prof. Leonardo Di Mauro . Tutor: Prof. Andrea Maglio, Dottoranda: SANDRA SANGERMANO, Napoli, 27 marzo 2015.

martedì 17 giugno 2025

IMPARARE DALLA NATURA: Architettura e design nella prima era biodigitale, Alberto T. Estévez

 

IMPARARE DALLA NATURA:

Architettura e design nella prima era biodigitale 

Alberto T. Estévez



A sinistra, presente: architettura biodigitale. Alberto T. Estévez, Genetic Architectures Office, edificio per il noleggio di auto a noleggio automatiche , Barcellona, ​​2012.
A destra, Futuro: architettura genetica. Alberto T. Estévez, Isola costruita , Garraf, 2009-2010.


È ovvio che dire "imparare dalla natura" si riferisca simbolicamente a "imparare da tutte le cose" (titolo dell'edizione spagnola concordato da Robert Venturi per "Learning from Las Vegas"). Sebbene la preposizione utilizzata fornisca sfumature, imparare "dalla" natura significa anche imparare "con" e imparare "nella" natura, persino "conoscere la natura" stessa, senza alcuna preposizione. Ogni espressione ha le sue sfumature significative, che non dovrebbero essere discriminatorie, ma arricchenti se considerate come un insieme interconnesso e interattivo. Sulla stessa linea di quanto si è scritto in passato sull'architettura genetica, sul fatto che oggi non si tratta più di costruire "nella" natura, ma di costruire "con" la natura, e persino di costruire la natura stessa, sempre senza alcuna preposizione.

Il titolo allude anche al fatto che più di mezzo secolo fa, dopo aver rivendicato i valori della cultura popolare (a cui il libro in questione ha partecipato), ci troviamo ora – avendo assunto quella precedente – in un'altra fase, in un'altra epoca, con altre urgenti esigenze planetarie, e altre conoscenze e possibilità tecnologiche. Per questo motivo lo slogan secessionista (viennese) scritto a lettere d'oro: "a ogni epoca la sua arte" continua ad essere attuale, anche se c'è sempre chi è distratto e, a causa del suo (ancora?) limitato livello culturale, si crede parte dell'avanguardia. Usano cliché o revival – in realtà – di altri tempi, che esisteranno sempre e che apprezziamo, cosa che non si può negare.

È vero che mode, gusti e tendenze vanno e vengono con il tempo. Alcune sono più effimere di altre, ma sicuramente prima o poi cederanno il passo ad altre. Paradossalmente, sembrano condannare quelle consolidate, anche solo perché gli esseri umani hanno costantemente bisogno di essere attratti da qualcosa. Allo stesso modo, gli esseri umani hanno bisogno di sentirsi attrattori, per sentirsi più vivi. Quando qualcosa di nuovo interessa a un essere umano, lui/lei lo usa, lo consuma e continua a cercare, mentre, allo stesso tempo, quando gli esseri umani hanno qualcosa di nuovo da mostrare agli altri, provano soddisfazione nel vedere di essere oggetto di attrazione per gli altri nella loro stessa ricerca. Costituisce una meravigliosa attività umana subliminale, che ci trasforma nella più straordinaria comunità alla ricerca della felicità personale e collettiva. Nonostante tutta la nostra miseria – che riconosciamo, man mano che alla fine ci connettiamo in modo sempre più sottile – essere una persona umana in questo mondo è la cosa più preziosa in questo universo.

Ecco perché sono ancora attuali le parole che circolano su Internet attribuite a Nelson Mandela –anche se a quanto pare non le ha pronunciate lui- in un discorso del  Presidente del Sudafrica pronunciato nel 1994, citando il libro A Return to Love (1992) di Marianne Williamson:

“La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda è quella di essere potenti oltre ogni misura.
Ciò che più ci spaventa è la nostra luce, non la nostra oscurità.
Ci chiediamo: chi sono io per essere brillante, meraviglioso, talentuoso, favoloso?
In realtà, chi sei tu per non esserlo?
Tu sei un figlio dell'universo ['un figlio di Dio', è scritto nel libro originale].
Giocare in piccolo non serve al mondo.
Non c'è nulla di illuminato nel rimpicciolirsi per non far sentire gli altri insicuri nei tuoi confronti.
['Siamo tutti destinati a brillare, come fanno i bambini']. Siamo nati per rendere manifesta la gloria dell'universo ['di Dio', appare nel libro] che è dentro di noi. Non è solo in alcuni di noi; è in tutti. E quando lasciamo che la nostra luce brilli, inconsciamente diamo agli altri il permesso di fare lo stesso. Quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza libera automaticamente gli altri.

Con il sano orgoglio che queste parole ci rivelano, conoscere noi stessi, riconoscere ciò che siamo veramente è il primo passo di questo "imparare dalla natura", poiché noi siamo natura. Indubbiamente, abbiamo il dovere richiesto nelle frasi sopra citate, nonché l'impegno, di toccare i cuori sensibili delle persone attraverso il nostro lavoro, la nostra dedizione e la nostra intelligenza. È un compito che risuona anche in quest'altra frase di Le Corbusier: "Gaudí è stato un grande artista; solo coloro che toccano i cuori sensibili delle persone gentili rimangono". E, come disse anche Le Corbusier, "L'architettura è il punto di partenza di coloro che vogliono guidare l'umanità verso un futuro migliore", e ora, più che mai, c'è bisogno di architetti...

Ovviamente, qui a Barcellona abbiamo un vantaggio rispetto agli altri, perché – come diceva Antoni Gaudí – "gli abitanti dei paesi bagnati dal Mediterraneo sentono la bellezza con più intensità". Diciamolo pure, sorridendo, che ci sono pochi posti migliori di questo per studiare architettura.

La natura, uno specchio eterno

Tornando al tema delle tendenze, dei gusti e delle tendenze che vanno e vengono, non appena le rispettive definizioni vengono pronunciate, inizia la loro obsolescenza. Nel momento in cui una di esse alza la voce dichiarando le altre obsolete, firma la propria condanna a morte. D'altra parte, è stato confermato che la natura è uno specchio eterno per l'estetica umana, così come per le sue aspirazioni. Anno dopo anno, generazione dopo generazione, la natura non diventa mai obsoleta e non si stanca mai. È sempre stata, è e sarà, perenne come un libro aperto, unica e indivisibile. La natura è una fonte inesauribile di ispirazione, imitazione e/o apprendimento. L'architettura e la genetica biodigitali, definite come direttamente coinvolte nella loro incardinazione "con" e "nella" natura, hanno quindi una "durata" assicurata. Si potrebbe persino dire che sono una garanzia di "classicità" e si adattano ai tempi. Ancor di più quando nuove tecniche aprono nuovi campi ancora inesplorati. Stiamo vivendo una grande epoca epica ed eroica. È un'epoca di opportunità in cui i coraggiosi e gli audaci si lanceranno verso l'inesplorato e diventeranno i pionieri dell'era biodigitale e genetica.

Pertanto, quanto più i processi di creazione architettonica sono vicini alla natura, tanto meno obsoleto e più "eterno" sarà il risultato. È necessario ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente se, in definitiva, la natura e l'intero universo sono scritti in linguaggio matematico, come sospettava Galileo Galilei. Stiamo parlando di linguaggi sempre validi e che riducono l'arbitrarietà delle nostre decisioni quando le armonizzano. La scienza stessa, diceva la filosofia, "è scritta in questo grande libro (io chiamo l'universo), che è permanentemente aperto ai nostri occhi, ma non può essere compresa se prima non impariamo a comprendere il linguaggio e i caratteri in cui è scritto. Ed è scritto in linguaggio matematico". Questo ci fornisce controllo, efficienza e un'accuratezza armoniosa che ci consente di escludere il più possibile l'arbitrarietà.

Nonostante le notizie scoraggianti – non senza ragione – che di volta in volta ci tengono col fiato sospeso, questo momento presente è il migliore, perché – come mai prima, anche se non sembra – è cresciuto il rispetto verso tutte le creature e verso ciò che ci circonda. È cresciuta la necessità di comprendere che siamo “protettori” della natura e custodi dell’ambiente, per evitare che i segni della distruzione e della morte ci accompagnino nel nostro cammino in questo nostro mondo. Ogni volta che un’intera specie viene distrutta, si distrugge qualcosa di totalmente irreparabile, una catena molecolare specifica e unica che si esprime in un modo che chiamiamo vita. Al contrario, l’intero universo ci appare come un dono e – anzi – in esso scopriamo una vera e propria grammatica da cui apprendiamo non solo i criteri per il suo utilizzo, ma anche per il suo destino, soprattutto ora che lo sviluppo della genetica sta aprendo un incredibile nuovo cosmo di possibilità mai visto nel cosmo conosciuto.

In questo contesto, e nelle parole di colui che non teme di essere imitato, non possiamo solo comprenderci come esseri isolati, ma non è sufficiente nemmeno comprenderci come gruppo, come gruppo umano. Questo non sarà ancora sufficiente per poter leggere il libro della vita fino in fondo. La vita umana è connessa all'ambiente in cui si sviluppa e agli altri esseri presenti in tale ambiente. Pensare che la vita umana sia possibile indipendentemente dall'ambiente e dagli altri esseri umani potrebbe finire per essere una "idolatria" dell'essere umano. L'integrità della natura si trasforma quindi in una sfida enorme, e il suo sviluppo coerente per garantire la nostra sussistenza diventa, se possibile, ancora più grande.

Proprio perché possediamo coscienza e intelligenza, dobbiamo vivere la nostra vita con un'inevitabile responsabilità verso l'intero universo. È una responsabilità che non consiste solo nel difendere la terra, l'acqua e l'aria come doni che appartengono a tutti noi, ma anche nel proteggere gli esseri umani dall'autodistruzione. L'intero pianeta sta piangendo. Possiamo sentirlo, quasi udirlo, e attende che lo proteggiamo: allo stesso modo in cui attende l'essere umano. La soluzione va trovata alla sua origine, nella natura e nel suo insegnamento.

Alberto T. Estévez, Progetto Barcellona Verde 1995-98: creazione di un grande parco urbano con tetti verdi interconnessi



Bioapprendimento applicato all'architettura e al design

Tutto può essere risolto imparando (in profondità) dalla natura. A tutti i suoi livelli, da quello più “interno” e intramolecolare, accessibile oggi grazie alla genetica, a quello più “esterno” e superficiale, che è stato imitato anche dagli esseri umani fin dal momento della loro nascita. Non è un caso, ad esempio, che gli esseri umani siano attratti dalla vista del fuoco della terra (le rocce sotto l’azione dell’acqua e del vento, i cristalli geologici sotto l’azione di processi fisici e chimici), dell’acqua (il mare, le onde) e dell’aria le nuvole, il fumo). Ciò coincide inoltre con le quattro radici di Empedocle, i quattro elementi primitivi, che confermano come le loro forme mutevoli rimangano permanentemente configurate da azioni o leggi che influenzano il tutto così come ogni parte. L’architettura e il design, che pure seguono leggi simili, evocano parimenti un’attrazione simile: qualcosa di invisibile all’occhio umano che “dall’interno inonda” ogni cellula, il suo intero aspetto e persino i suoi angoli più remoti (continuità). Essa risuona in tutte le sue parti, configura il tutto ( Concinnitas ) e ne controlla inevitabilmente l'evoluzione costante (sistema emergente).

Sulla stessa linea di un'imitazione primitiva della natura, il termine biomimetica ha indubbiamente ricevuto critiche favorevoli negli ultimi tempi. Appare ovunque come un valore positivo in una vasta gamma di campi. Tuttavia, non sembra del tutto appropriato o accurato nella sua applicazione, poiché ha acquisito un significato troppo ampio e diversificato. In realtà nessuna biomimetica, una mimesi della vita, può copiare o imitare la natura senza ulteriori indugi. Tale termine viene utilizzato quando in realtà si tratta semplicemente di un'ispirazione formalista – a volte lontana – dalla natura. È un'ispirazione, non un'imitazione. Lo stesso termine viene utilizzato anche quando ciò di cui si parla in realtà è una precedente osservazione di un essere vivente, che porta alla sintesi di una caratteristica che può essere di interesse per la sua applicazione in diversi campi, seguita infine dalla sua applicazione corretta, che non è imitativa. Non esiste quindi una mimesi, ma piuttosto un processo di apprendimento, imparare dalla natura, madre e maestra, come diremmo metaforicamente. Ciò che viene prodotto dovrebbe quindi essere più appropriatamente definito bioapprendimento , che è diverso dalla biomimetica (mimesi, imitazione, copia della natura) o da ciò che potrebbe essere descritto come bioispirazione .

Paradossalmente, in senso stretto, la "natura" non esiste. È solo un'astrazione umana, una semplificazione usata per comprendersi a vicenda. I malintesi nascono quando i parametri che la definiscono non sono ben definiti. Allo stesso tempo, persone diverse si riferiscono a termini e punti di vista diversi. Quindi, quando Louis Sullivan pronunciò la frase " la forma segue la funzione ", non sapeva che i funzionalisti razionali del XX secolo l'avrebbero distorta fino a trasformarla in un falso dogma. Meravigliato, si riferiva a come le forme visibili nella cosiddetta natura si adattino e rispondano alle funzioni di cui il rispettivo essere vivente ha bisogno per svilupparsi.

Per chi ha una conoscenza più avanzata della materia, questo argomento potrebbe sembrare obsoleto. Tuttavia, la verità è che continua a ripresentarsi nella critica e nell'insegnamento quotidiano dell'architettura, mentre ci troviamo in una sorta di circolo vizioso critico/insegnante-studente-critico/insegnante-studente-ecc. che sembra non finire mai... Allora, "la forma segue la funzione"? "La forma  segue la funzione", ma in un'infinità di modi diversi ... Da un protozoo a una tigre, tutti hanno la funzione genesica o la necessità di (soprav)vivere, le funzioni secondarie di nutrirsi, riprodursi, ecc., così come le funzioni e le possibilità più specifiche e sofisticate di ogni pianta o animale. Ciononostante, basta guardare un piccolo prato in primavera per rendersi conto che la stessa/e funzione/i potrebbe/ro essere state risolte per milioni di anni con mille forme, colori, aromi, sapori e consistenze diverse.


La forma segue la funzione? La forma segue la funzione, ma in infiniti modi!
Immagini: Alberto T. Estévez, dalla serie “Still alive”, paesaggi e altre carnosità , realizzate con microscopio elettronico a scansione su strutture naturali al loro livello più genetico, primitivo e originale, Barcellona, ​​2009-10.
SINISTRA: Il vecchio di Glass . DESTRA: Gesto dell'invocazione .

Progettisti e architetti devono agire allo stesso modo, nel delicato equilibrio in cui forma e funzione devono alimentarsi reciprocamente per essere risolte e utilizzate, riconoscendo la "biodiversità" architettonica come un valore, così come viene riconosciuta in natura. Tuttavia, all'inizio del loro compito, devono comprendere di dover definire la "specie" e la "razza" che configureranno fino ad arrivare all'esemplare finale da creare. Ciò che stanno progettando deve possedere le caratteristiche di un sistema coerente e armonioso da tutti i punti di vista. In questo compito iniziale, la domanda "Sto realizzando una gazzella, un elefante o una tigre?" deve essere utile per loro.

Tipi di edifici
("tra virgolette e tra parentesi quadre")

"Una buona idea è molto meglio di un'abilità", disse uno, mentre "una cattiva idea non si tradurrà mai in un buon risultato", esclamò un altro, come "nessun buon progetto può nascere da una cattiva idea", concluse un terzo... E così via, tutto sulle labbra di persone sagge, rispettabili e ammirate... Queste parole devono avere un certo credito in una fase successiva.

La prima domanda sorge spontanea: che idea di edificio o di oggetto hai? Vuoi costruire un albero di limoni? Preferisci un pesciolino d'argento? Una giraffa? Questo serve a spiegare, a mo' di impresa erculea, quando – come ha detto un altro – "l'architettura non si insegna, si impara"; o una variante dello stesso concetto: "l'architettura è visione, impossibile da insegnare, difficile da imparare".

Per avvicinarci a come applicarlo all'architettura e al design, la parte più tangibile dell'"idea" di una creatura vivente sarebbe il suo rispettivo DNA (per capirci in termini profani): qualcosa di invisibile all'occhio umano, che "dall'interno inonda" ogni cellula, il suo intero aspetto e persino i suoi angoli più remoti (continuità). Risuona in tutte le sue parti, configura il tutto ( Concinnitas ) e controlla inevitabilmente la sua costante evoluzione (sistema emergente). Queste sono le stesse condizioni di seduzione di ciò che abbiamo detto per il fuoco, la terra, l'acqua e l'aria: le stesse condizioni di seduzione che l'architettura e il design devono mostrare.

Qualunque sia il nome che gli diamo, il DNA dell'edificio – potremmo quasi dire la sua anima, o la parte "più profonda" del suo essere – deve essere chiaro nella mente del suo creatore, "dando vita" al progetto attraverso un sistema che lo faccia crescere da solo. Deve ovviamente essere un'idea forte e con potenziale, altrimenti produrrà solo un essere patetico che non suscita empatia né reazioni di gradita accettazione nelle persone.

Un progetto architettonico di questo tipo avrà solo bisogno di una "dieta" adeguata ed equilibrata, curata nei minimi dettagli; delle necessarie "ore di sonno", riflessione e riposo; in un ambiente favorevole per garantirne la "sopravvivenza", e questo è tutto dire! È sempre alla ricerca della coerenza tra genotipo e fenotipo architettonico, tra il "motore" interno e concettuale e la sua armoniosa realizzazione finale e costruttiva (tutto questo scritto in senso lato a titolo di spiegazione).

Bisogna anche garantire che, in questa transizione, gli insegnanti – a causa dei propri limiti, ossessioni e frustrazioni – e il contesto sociale, non la torturino e la trasformino in un essere architettonico "mentalmente" contorto, bizzarro e mutilato. In altre parole, a causa dell'ignoranza – o della disattenzione – una buona idea (difficile da concepire e/o identificare, e facile da rovinare) non può essere sminuita. Poiché non tutti sono capaci (è piuttosto insolito), a prescindere da quanto talento uno si consideri (il che è piuttosto comune), un'intelligenza inferiore e una sensibilità grossolana possono migliorare con uno sforzo, ma non possono mai cambiare, sebbene il giovane mediocre (a causa della sua presunzione giovanile e della mancanza di consapevolezza della propria grigia esistenza) si "vantino" più del vecchio (che conosce se stesso 10 volte meglio del giovane). Ciò che non aiuta è l’attuale mancanza di intensità nell’acquisizione della cultura o l’esposizione a riferimenti meno efficaci che portano a entrare in contatto con sottoculture, pseudoculture o addirittura “non-culture”.

Sviluppato da un seme potente, dotato di una vita lunga e fertile, condotto con la giusta dose di libertà, ma anche con la giusta dose di disciplina, è così che un progetto dovrebbe essere realizzato, proprio come nel caso del sale: o se ne usa troppo o troppo poco. Il punto esatto di equilibrio è molto delicato, poiché potrebbe trasformarsi in un "punto di non ritorno": Antoni Gaudí aveva ragione quando diceva che voler essere pretenziosamente troppo originali significa perdere la necessaria qualità di seduzione che un edificio deve mostrare.

Verso una bellezza oggettiva

In linea con quanto detto in precedenza, perché ci piace guardare i falò (fuoco), le scogliere (terra), le onde (acqua), le nuvole (aria)? Non ci stanchiamo mai di loro, perché ci calmano, ci attraggono e siamo tutti concordi nel percepire in essi la bellezza, la "bellezza oggettiva". Inoltre, man mano che si muovono, il nostro interesse diventa coinvolgente. Le loro forme non ci annoiano e, proprio per la loro complessità, perché cambiano (senza che ci muoviamo), ci sorprendono persino. Quando ogni singola parte risponde al tutto, per leggi oggettive, determinanti fisiche e chimiche, genetiche nel caso degli esseri viventi che devono svolgere funzioni specifiche; quando ogni parte si riflette nel tutto e il tutto si riflette nelle parti, esiste una connessione organica, organizzata, continua, coerente e unita; quando ognuna di queste parole si trasforma in un valore per l'architettura e il design, sempre in movimento, creata da forze fisico-chimiche esterne comuni e/o interne guidate dal DNA.

Quando i determinanti sono quasi puramente ed esclusivamente genetici, o almeno ancora in gran parte genetici, quando le conseguenze di una dieta specifica, delle abitudini, della climatologia, di una specifica e distintiva eredità genetica, o di qualsiasi altro determinante esterno casuale, non sono ancora completamente riflesse, è allora che il carattere emergente della vita guidato dal DNA "mostra chiaramente" di più la propria forza: è allora che aggettivi qualificativi unanimi, spontanei e popolari come "carino", "adorabile", "dolce" sono sulla bocca di tutti, cosa comune quando si vede un cucciolo o un bambino.

Tutto ciò avvalora la "bellezza oggettiva" di cui parlava Antoni Gaudí, quando qualcosa possiede determinate caratteristiche che rendono conformi le definizioni di bellezza e che, inoltre, coincidono nel qualificarla come tale. Tuttavia, all'epoca di Antoni Gaudí la genetica non esisteva e quindi egli non conosceva le conseguenze del "computer naturale", che è il DNA. E, naturalmente, non disponeva di computer digitali in grado di organizzare un insieme complesso e unitario e, allo stesso tempo, misurarlo con assoluta precisione e controllarlo. Per questo dovette inventare i suoi computer non digitali: funi catenarie sospese liberamente nello spazio, che, grazie alla posizione strategica di piccole bustine riempite di piombo, potevano simulare in scala i carichi reali che l'edificio avrebbe dovuto sostenere, ordinandone le linee "automaticamente", "parametricamente"; linee che non erano decise direttamente e con precisione millimetrica dall'autore, ma piuttosto dal "computer" da lui supervisionato per configurare una bellezza oggettiva, armoniosa, matematica.

La "bellezza oggettiva" si trasforma così in "bellezza necessaria" quando diventa un bisogno umano e un dovere di architetti e designer nei confronti dell'umanità. Volendo creare architettura e design in modo altrettanto complesso, che non si esaurisca in un batter d'occhio, né si comprenda in un secondo, dove ogni punto di vista è diverso (poiché siamo noi a muoverci) e quindi suscita interesse e risponde a un insieme coerente allo stesso tempo. È la natura che ci indica la via per crearla e svilupparla...

Un altro personaggio, di fronte a una bellezza così abbagliante, l'ha espressa con eloquenza quando ha detto: "È come un'euforia, come una follia che ci assale. La  gioia minaccia di annientarci, l'esuberanza della bellezza di soffocarci. Chi non ha sperimentato questo non capirà mai l'arte plastica. Chi non è mai stato rapito dal capriccioso fruscio dell'erba, dalla meravigliosa durezza delle foglie di cardo, dalla ruvida giovinezza dei germogli quando sbocciano, chi non si è mai sentito rapito e impressionato fino al profondo dell'anima dalla linea rigogliosa delle radici di un albero, dalla forza intrepida di una corteccia che si spezza, dalla snella morbidezza del tronco di una betulla, dall'immobilità sconfinata di un fogliame esteso, [chi non ha mai sperimentato questo] non sa nulla della bellezza delle forme".

Anche Antoni Gaudí espresse la stessa passione quando disse: "Ho colto le immagini più pure e piacevoli della natura. La natura, che è sempre la mia maestra (...). Il grande libro, sempre aperto e che dobbiamo sforzarci di leggere, è il libro della natura; da questo sono tratti altri libri, che includono gli errori e le interpretazioni degli esseri umani. Tutto proviene dal grande libro della natura (...). Quest'albero vicino al mio laboratorio: questo è il mio maestro!"

Imparare dall'albero

Percorrendo tali sentieri, l’“imparare dalla natura” nel titolo di questo articolo potrebbe essere ulteriormente specificato in ciò che qui chiamiamo “imparare dall’albero”, parole che Toyo Ito prese in prestito da Antoni Gaudí quando le pronunciò in una delle sue conferenze a Barcellona:

“ 1. Gli alberi generano ordine nel processo di crescita nel tempo.
2. Gli alberi generano ordine ripetendo semplici regole.
3. Gli alberi generano ordine attraverso le relazioni con l'ambiente circostante.
4. Gli alberi sono aperti all'ambiente.
5. Gli alberi sono sistemi frattali.”

Gli aspetti organici del suo lavoro lo hanno distinto: la continua comprensione organica, formalista e concettuale, come generata da un sistema coerente che risuona in tutte le parti dell'insieme in un'armoniosa sinfonia, infondendo in un edificio un carattere specifico, determinandolo come specie, come speciale. Una certa complessità geometrica e morfogenetica, percepita come armoniosa, rappresenta il DNA dell'edificio. Questo è ciò che Toyo Ito ha imparato dagli alberi, la stessa cosa che Antoni Gaudí sapeva intuitivamente degli alberi. È questo apprendimento che condividiamo qui, imparando dai vantaggi della natura per progettare l'architettura utilizzando i vantaggi degli strumenti digitali. Questo ovviamente ci porta a comprenderci reciprocamente riguardo all'organicismo digitale, che ho dichiarato essere il primo movimento d'avanguardia del XXI secolo all'inizio di questo secolo.


Condizioni di frattalità: Alberto T. Estévez, Immagini di frattalità.


Oltre alle intuizioni di Toyo Ito sugli alberi frattali, la ricerca che sto conducendo dal 2008 utilizzando un microscopio elettronico a scansione, riguardante il primo livello in cui masse amorfe di cellule si organizzano in strutture efficienti per resistere alle sollecitazioni – un aspetto rilevante in architettura – ha portato a corroborare, ad esempio nel caso del bambù e delle spugne marine, le condizioni frattali in cui crescono gli esseri viventi: come le strutture di bambù e spugna siano a loro volta costituite da strutture microscopiche di bambù e spugna. Tali condizioni sono convenienti anche per gli edifici. I frattali possono oggi essere realizzati con l'ausilio della tecnologia di stampa 3D su scala millimetrica, costituendo le strutture finora solide con strutture microscopiche, in cui leggerezza e risparmio di materiale sono massimi a parità di resistenza, oltre ad aumentare la capacità di isolamento termico.



Condizioni di frattalità: Alberto T. Estévez, Immagini di frattalità.
SINISTRA: Persone frattali, persone broccoli , 2007. DESTRA: La mia mano , 2011-12


In questa discussione (verso la creazione di strutture frattali) sono pertinenti anche il cosiddetto "paradosso del pennello", il paradosso "bipedi contro millepiedi", quello del pelo sciolto che non sostiene nulla, ma un milione di peli insieme che  possono sostenere il peso di un bipede con zampe o colonne spesse. È lo stesso paradosso della formica che, ingrandita fino a raggiungere dimensioni considerevoli, collasserebbe, mentre migliaia di formiche insieme, una sopra l'altra, potrebbero facilmente costituire la stessa grande dimensione.



A SINISTRA: Il "paradosso del pennello", "bipedi contro millepiedi" (creazione di strutture frattali). AL CENTRO: Alberto T. Estévez - Aref Maksoud, Biodigital Skyscraper , lungomare di Barcellona, ​​2008-2009 (a destra, dettagli di una spugna di mare caraibica, 100x, 400x e 3000x, realizzati da Alberto T. Estévez con microscopio elettronico a scansione; a sinistra, i rendering del file di scripting 3D mostrano i risultati delle implicazioni delle regole genetiche e strutturali delle spugne, dalla ricerca biomicroscopica agli strumenti parametrici: struttura frattale per la stampa 3D).
A DESTRA: Tipica torre umana catalana.

Questo è qualcosa che il naturale senso costruttivo della terra natale di Antoni Gaudí conosce bene. In realtà, se un gigante esistesse nella realtà, sarebbe deforme. Le torri umane che nascono come tradizione popolare secolare mostrano come molte persone insieme, una sopra l'altra, possano raggiungere un "corpo" di considerevole altezza.


Dal bioapprendimento agli strumenti digitali: applicazione di strategie frattali all'architettura. Alberto T. Estévez, Genetic Architectures Office,  Antenna per telecomunicazioni frattale per la purificazione dell'aria e l'autosufficienza energetica , Santiago del Cile, 2013-14.  (8 generazioni, 3.276 barre, angoli di 60°).


Bioapprendimento... Quanto ne siamo ancora lontani! La valutazione dell'architettura e del suo insegnamento continua a essere condotta da critici convenzionali, urbanisti e architetti che non hanno ancora abbandonato il circolo vizioso del razionale-funzionalismo e del contestualismo. "Parola sacra" questa, contesto... Ma, alla fine, ad esempio, gli alberi nelle strade, nei parchi e nel paesaggio circostante non sono forse "contesto"? Perché hanno problemi se la comprensione del mio edificio è più vicina a un albero che alle scatole circostanti (chiamate edifici)?


A SINISTRA: Da una porta anonima casuale su Internet.
A DESTRA: Alberto T. Estévez, Ufficio di Architetture Genetiche, Lichen Digital Door , Castellón, 2012.


Arbitrarietà, ancora...

Un omaggio ai termini più "perseguitati" dal grande monopolista dell'architettura : emozione, espressività, bellezza o – per usare il caso della sua presunta "arbitrarietà", è sempre gradito. Tuttavia, la questione dell'arbitrarietà formalista che si può osservare nell'uso odierno delle tecnologie digitali non è una novità. Da anni sentiamo ripetere la stessa vecchia storia da chi non sa e denigra per invidia nascosta, come nella favola della volpe che dice che l'uva inaccessibile non è ancora matura.

In questo mondo di predominio razionale-funzionalista, ignorante e pragmatico, dove la mancanza di cultura attiva il dogmatismo per giustificarsi, è lodevole una volontà che "intenda riconoscere e valutare gli aspetti soggettivi, "arbitrari" e non quantificabili presenti nelle decisioni progettuali". Tuttavia, quegli aspetti non sono così soggettivi, arbitrari e non quantificabili. Analizzando in profondità ogni decisione presa, emergono sempre specifiche spinte "quantificabili". Persino la presunta arbitrarietà più audace è guidata dall'intelligenza emotiva del soggetto in azione. Per quanto segrete ci sembrino le decisioni prese con il cuore, la psiche, l'anima, o come si voglia chiamarle, non sono più arbitrarie di quelle della mente.

Tutto rimarrebbe quindi una mera discussione terminologica, a causa dell'imprudenza degli esseri umani quando comunicano – e si conoscono – senza alcun rigore. La falsa oggettività digitale è arbitraria quanto la falsa  oggettività cartesiana di chi sceglie una sfera, un tetraedro o un cubo. È quindi altrettanto arbitrario lasciarsi trasportare da geometrie semplici, sebbene esse limitino l'arbitrarietà, quanto limitarla lasciandosi trasportare da equazioni matematiche integrate in un qualsiasi software . In realtà, entrambe le vie – digitale e cartesiana – ci assicurano di limitare la nostra apparente arbitrarietà.

Il cerchio e la sfera, seguiti dal triangolo equilatero, dal quadrato, dal tetraedro, dal cubo, ecc., sono le figure più elementari: sono chiamate "pure". L'"arbitrarietà" nella loro creazione è minima, poiché una semplice misura le configura. Basta scegliere una certa misura e ripeterla tutte le volte che si desidera. Prendere meno decisioni in geometria è impossibile, poiché sono necessarie per rappresentare l'architettura e il design per poi riprodurli in una scala che sia comoda da utilizzare. Ovviamente, questa massima semplicità, che soddisfa rapidamente i bisogni non fisici degli esseri umani, scompare con la stessa rapidità con cui appare. Per quanto sia facile da comprendere e conoscere, annoia subito gli esseri umani, che hanno bisogno di mantenere vivo il loro interesse per sentirsi più vivi. Allo stesso modo in cui si tiene premuta a lungo la stessa nota in una composizione musicale, stiamo parlando di un cerchio o di una sfera unici in architettura e design. Ecco perché è corretto affermare che quanto più una cosa è semplice, tanto meno è “arbitraria”, ma quanto più breve è la naturale curiosità umana, tanto maggiore è la perdita di interesse per l’opera.

Con ogni decisione aggiunta alla prima, con ogni successiva “arbitrarietà” scelta, il risultato guadagna in difficoltà e potenziale interesse, se – ovviamente – fosse risolto in modo intelligente e coerente. Ogni decisione deve comportare la sua applicazione al tutto. E ancora una volta sarebbe necessario imparare dalla natura: la natura fornisce la complessità , dobbiamo solo aggiungere la contraddizione , se è così che vogliamo ottenere ancora più profondità e interesse, fino a raggiungere esattamente il punto di seduzione menzionato prima. E aggiungendo qualche “goccia” di mistero, un “pizzico” di enigmatico e/o simbolico, un po’ di surreale, sempre facendo attenzione a non “esagerare”, il che significherebbe una perdita della necessaria “freschezza” e grazia che l’architettura e il design devono evocare.


Alberto T. Estévez, Foresta crocifissa , struttura urbana, 2009-2010.
La ricerca genetica sul controllo della crescita trasforma le cellule vive in materiale architettonico e spazio abitabile.


Per progredire di più e meglio, bisogna liberarsi dalle convenzionalità della scena, quelle che emergono e etichettano l'organicità digitale come stravagante, sfidando la geometria cartesiana. Stravaganza? Considerando l'organicità della natura, che è milioni di anni più vecchia e più efficiente, ciò che è più stravagante è un mucchio di scatole quadrate: per recuperare ciò che abbiamo perso con la distruzione del nostro pianeta, dobbiamo tornare alle origini, alla natura.


In alto a DESTRA: Da un edificio anonimo casuale preso da Internet.
CENTRO: Alberto T.  Estévez, Genetic Architectures Office, Edificio multifunzionale , Hard, 2014.


Ci sono sempre state persone, idee e tendenze che hanno attenuato l'architettura cartesiana, funzionalista e oggettiva: dall'umanizzazione dell'architettura, all'espressionismo, al surrealismo, all'informale, all'organicismo, al regionalismo critico, al contestualismo, ecc., al postmodernismo e alle tendenze architettoniche che ne sono seguite, così come a tutti coloro che hanno risvegliato direttamente l'antifunzionalismo senza palliativi: Friedensreich Hundertwasser, Friedrich Kiesler, Hans Hollein... un'intera legione nascosta. Basta seguire il vero filo della storia con finezza, senza lasciarsi trasportare da luoghi comuni che ce lo spiegano.

Bioarchitettura?

Prima di concludere, come epilogo di queste pagine, è necessario aggiungere i seguenti paragrafi, anche se in "carattere piccolo": dove c'è distinzione, non c'è confusione. Se diamo alla parola biologia la definizione della scienza che studia gli esseri viventi, e se il termine bioarte identifica l'arte che include gli esseri viventi, allora perché si è iniziato a chiamare bioarchitettura l'architettura che utilizza semplicemente pannelli solari o che è costruita con la terra, o che disegna le famose frecce blu e rosse dei flussi d'aria, o che tiene conto dei materiali rinnovabili, ecc.?

Siamo rigorosi... Inventare la bioarchitettura non sarà meno impegnativo, e quindi bisognerà definirla come l'architettura che include esseri viventi. In realtà, questa è una definizione molto ampia. Un  semplice giardino su un tetto rappresenta già un elemento architettonico che include esseri viventi a beneficio di chi lo vive.

Nel frattempo, questo è l'ultimo grande equivoco terminologico che si sta insinuando sibillinamente nell'architettura, e di conseguenza negli altri settori, forse per contagio innocente, a causa della tendenza a includere il termine "bio" in qualsiasi prodotto, in quanto sembra conferire prestigio al prodotto, sebbene potrebbe in realtà essere una mera strategia commerciale. In tal caso, la parola "architettura" dovrebbe essere accompagnata da un derivato dei termini ambiente, ecologia, sostenibilità, ecc., qualsiasi cosa tranne il prefisso "bio", che dovrebbe essere riservato esclusivamente a ciò che integra realmente la vita reale tra i suoi elementi architettonici.

Non è ovviamente la prima volta che si introducono equivoci nell'uso delle parole da parte degli architetti. Anche professori e critici stimati le usano. Ci sono alcuni esempi che sono ancora in uso, e sembra impossibile eliminarli. Sono stati segnalati e chiariti alle pagine 112-114 e 193-196 del libro Al margen: escritos de arquitectura (Abada, Madrid, 2009). Da un lato, c'è la confusione tra architetti di lingua spagnola sui termini modernista-moderno/modernismo-modernità, dovuta in gran parte alle traduzioni errate di pubblicazioni anglosassoni. Dall'altro, la babele tra scultura e architettura, che deriva dai pregiudizi del razionalismo-funzionalismo. C'è anche un abuso dei termini minimo e minimalista, applicati con superficialità all'architettura. (Anche il termine "metafora" è usato troppo spesso in un'applicazione eccessivamente permissiva, e non del tutto corretta).

Chi aspira alla serietà deve porre fine a tutto questo, pretendendo che le persone parlino in modo corretto.

La fine, l'inizio

Sì, infine, riassumendo, qual è la priorità? Cosa è rilevante per l'architettura e il design biodigitale? Il bioapprendimento! Che include anche il vivo (la natura), forme organiche e strumenti digitali (vedi il libro "Architetture genetiche II" ), tecniche bio e digitali (vedi il libro "Architetture genetiche III" ), genetica, computazione...

E come chiamare, come nominare l'architettura con elementi (bio)vivi?: architettura viva, bioarchitettura, architettura naturale. Ma elementi (bio)vivi che definiscono e/o sono al centro del concetto o dell'idea architettonica, e questo significa nella struttura, nello spazio e nell'involucro. E lo stesso vale anche dall'altra parte dello specchio, nel mondo digitale. Elementi che contribuiscono a ottenere condizioni migliori, fisiche, metafisiche, migliori condizioni di utilizzo e/o comfort, maggiore efficienza (sostenibilità!), applicazione di elementi viventi naturali e/o digitali per un migliore utilizzo architettonico, come ad esempio tetti e facciate verdi (architettura viva) e/o tetti e facciate robotizzati (architettura reattiva), sempre concepiti, progettati e realizzati digitalmente.

Anche in una nuova comprensione contemporanea della natura, dell'ecologia, del paesaggio: una comprensione non conservazionista della natura, dell'ecologia, del  paesaggio (vedi il Manifesto della Bioplasticità ). Dove non ci sono più oggetti architettonici nel paesaggio, dove l'architettura è paesaggio, e persino natura! Quando l'architettura è natura! (Ottenere per l'architettura la fusione contemporanea, la dissoluzione, la fusione di sfondo e figura, come l'arte prima).

Alla fine, le risposte alle domande che architettura e design dovranno risolvere in modo soddisfacente affinché il nostro pianeta sopravviva saranno che "nella", "con" e "dalla" natura continuino a manifestarsi, finché l'architettura genetica non diventi tutt'uno con la natura. Inizialmente si utilizzavano tecniche artigianali, o meglio, tecniche di giardinaggio, risalenti all'epoca babilonese. Ora utilizziamo tecniche biologiche e digitali. In futuro si ricorrerà a tecniche puramente genetiche e sarà necessario raggiungere una fluidità finale, perfetta e totale tra natura e architettura.

Alberto T. Estévez


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Fonte: http://albertotestevez.blogspot.com/2014/08/learning-from-nature.html

Testo pubblicato in Alberto T. Estévez, “Aprendiendo de la naturaleza”, in ESTÉVEZ, Alberto T. (a cura di), 2a Conferenza Internazionale di Architettura Biodigitale e Genetica , ESARQ (UIC), Barcellona, ​​2014.  (Sul sito web, www.albertoestevez.com, è possibile seguire lo stato dell’arte , compresi progetti, ricerche e scritti esposti nelle diverse sezioni della pagina). 

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